CURLING ITALIA

Intervista a Joel Retornaz

Grazie Joel Retornaz  per aver accettato questa intervista che vuole rievocare i 10 anni dalle Olimpiadi di Torino 2006. Iniziamo con chiederti come ti sei sentito dopo aver ricevuto la comunicazione ufficiale che saresti stato tu lo skip della Nazionale maschile. Ricordi in quei giorni, prima della partenza per Pinerolo, uno stato d’animo ed una emozione particolare?
Lo stato d’animo non era dettato dal fatto che sarei stato lo skip, ma piuttosto dal fatto che di lì a poco avrei preso parte ad un’Olimpiade, una vera Olimpiade! Tante volte si può immaginare o dire “ma si dai mi piacerebbe partecipare ad un’Olimpiade”, ma poi andarci per davvero è tutta un’altra storia. Ed io ero lì pronto per partire alla volta di Torino per poter realizzare quello che per moltissimi atleti anche fortissimi rimane solamente un sogno.

1 retornaz 2006

E’ vero che il clima Olimpico che si instaura tra gli atleti è qualcosa di veramente unico e irripetibile?
Verissimo. Puoi giocare Europei, Mondiali, Tornei importantissimi, ma il clima olimpico è qualcosa di introvabile nelle altre competizioni. Il tempo si ferma, esiste solo lo sport e la felicità di far parte di quell’evento. Nonostante le varie nazionalità, le differenze linguistiche ed i vari livelli degli atleti, alle Olimpiadi non esistono migliori o peggiori. Tutti sullo stesso livello, tutti sullo stesso piano. Ogni atleta, per il semplice fatto di essere un olimpionico merita il rispetto da parte dei sui colleghi e ogni sport è importante quanto gli altri, ogni sport vale una medaglia. Per questo il clima olimpico tra gli atleti è qualcosa di straordinario, qualcosa di indescrivibile. All’interno del villaggio olimpico sembra di vivere in un mondo parallelo.

Nei momenti al villaggio olimpico hai avuto modo di conoscere anche atleti di altre discipline o al contrario ogni team, o ogni atleta di disciplina individuale, rimanevano chiusi nel loro mondo e nel loro sport?
Credo di aver già risposto in parte a questa domanda. All’interno del villaggio olimpico si diventa un’unica grande famiglia. Principalmente con gli atleti della propria nazione, si inizia a conoscersi di più e ci si promette di fare il tifo reciproco, per cui nei momenti di relax per alcuni e momenti di gara importanti per altri, gli atleti nel villaggio stanno tutti davanti alla tv per tifare i propri colleghi/amici. Grande rispetto per tutti e tutte all’interno del villaggio, come detto prima non ci sono distinzioni, dalla giocatrice di hockey femminile che non ha mai giocato una partita da titolare a Evgenij Pljuščenko che si beve un cappuccino vicino a te la mattina a colazione. Questo è il villaggio olimpico.

3 team italia torino 2006Hai un ricordo particolare di un momento dove hai sentito l’emozione più forte di tutti quei giorni di olimpiade?
La cerimonia di apertura è un ricordo indelebile, un po’ perché in quel momento capisci che è tutto reale e che sta veramente accadendo, un po’ perché nel momento in cui entri assieme a tutta la delegazione di quello che è il Paese ospitante e in quel momento senti lo stadio che letteralmente “viene giù” dalle urla e applausi del pubblico presente, beh questo direi che è certamente uno dei momenti più forti ed indimenticabili di tutte le Olimpiadi ed oltre.

 

Parliamo adesso della competizione: si dice che si impara molto anche sui propri errori. Tu ricordi in quale confronto (e forse anche perso) hai imparato di più?
Certo che dagli errori si impara e quindi dalle sconfitte, come del resto si impara molto anche dalle vittorie. Ma non ci si improvvisa campioni dopo una partita persa e non si può credere di migliorare tanto sul momento. Se noi abbiamo imparato qualcosa è stato durante le stagioni di preparazione. Durante la competizione abbiamo dato il massimo, abbiamo perso qualche partita che potevamo vincere e ne abbiamo vinte altre che non ci vedevano certamente favoriti alla vigilia. Credo però che tutto sommato abbiamo raggiunto il risultato nelle nostre potenzialità in quel momento, quindi va bene così. Poi però se consideriamo le lezioni che ho imparato su larga scala e per quello che è stato poi il proseguimento della mia carriera, beh allora in questo caso ho imparato molto.

Poi la vittoria, in un certo senso storica, contro il Canada. Hai provato una gioia particolare in questa vittoria contro i primi della classe oppure l’hai vissuta solo come una partita portata bene a termine?
Sarei ipocrita nel dire che quella è stata una semplice vittoria. Quella è stata LA vittoria. Chiaro che  se mi avessero proposto di perdere contro il Canada nel Round Robin per poi andare a vincere una medaglia, non ci avrei pensato due volte, però a bocce ferme e per quello che è stato il risultato finale, direi che per me  contro il Canada è stato, sportivamente parlando, il momento più alto  di quell’Olimpiade.
Il caso ha inoltre voluto che quella partita venisse disputata di sabato, per cui il palazzetto aveva registrato il tutto esaurito. Parliamo della nona sessione di gioco maschile, quindi la gente aveva già iniziato ad appassionarsi molto di curling in quei giorni di Olimpiade. Lo scenario era il palazzetto di Pinerolo pieno zeppo, Italia che batte il Canada 7-6 all’extra e standing ovation che parte spontanea dagli spalti, abbracci a non finire con i compagni. Direi quindi di sì, quella partita mi ha regalato una gioia particolare.

Ricordo di quei giorni che anche se eliminati nel round robin la gioia di esserci andava oltre e quindi non chiedevate di più. E’ andata così oppure speravate in un piazzamento migliore?
A questa domanda ho risposto tante volte, in tanti mi hanno chiesto, ma come avete fatto a battere il Canada (oro finale) e Stati Uniti (bronzo finale) e poi avete perso contro gli altri? Il curling è così, ogni partita ha una storia a se e la puoi vincere come la puoi perdere. Io dico sempre che probabilmente se mi avessero detto, prima di partire per Torino, che sarebbe andata così, beh ci avrei messo la firma. Poi però quando sei lì e vedi che te la giochi e che avresti potuto ambire anche a qualcosa di più, in quel caso ci speri e vorresti aver fatto qualcosa di meglio. Comunque credo che il risultato sia stato buono dopotutto.

Più volte abbiamo parlato della grande visibilità mediatica. Tu ritieni che per il dopo, e quindi per migliorare il curling italiano, si potesse sfruttare in modo diverso questa ondata di popolarità del curling?
Credo proprio di sì. A mio parere non è stata sfruttata per niente bene l’ondata di popolarità inattesa che il curling ha avuto durante le Olimpiadi di Torino 2006. Si poteva fare molto di più, ma purtroppo questo non è successo e tutt’ora ne paghiamo le conseguenze. Il curling in Italia rimane sempre una piccola realtà troppo poco conosciuta.

Qual è il ricordo più bello che ti sei portato a casa di quei giorni?
Le emozioni provate in quei giorni, beh quelle rimarranno per sempre indelebili. Questo è il ricordo più bello. E ripensando a quel periodo, ripensando a tutto ciò che è successo e rileggendo in questo istante le risposte che ti ho appena dato nell’intervista, con un accenno di sorriso dentro di me posso dire: “Io c’ero!”

E chiudo chiedendoti: per il futuro una partecipazione dell’Italia alle olimpiadi deve passare da una qualificazione. Ritieni che questo sogno si possa ancora realizzare?
Penso proprio di sì. L’Italia avrebbe tutte le possibilità di giocarsi le proprie carte per qualificarsi alle Olimpiadi in futuro. Ci vuole un mix tra supporto da parte delle Federazioni e ambizioni personali degli atleti. Direi che ad oggi questo mix è troppo sbilanciato verso le ambizioni personali degli atleti, che però non sono mai sufficienti a colmare le carenze dall’altra parte.

Grazie Joel per la tua disponibilità e auguri per questi 10 anni di Torino 2006.

2015, Halifax N.S. Ford Men's World Curling Championship, Italy skip Joel Retornaz, Scotland skip Ewen MacDonald, Curling Canada/michael burns photo

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