CURLING ITALIA

Brad Gushue intervistato in esclusiva per Curling Italia

Andiamo a chiudere questa serie di interviste ai grandi personaggi che hanno fatto brillare le Olimpiadi di Torino 2006 e per farlo non poteva mancare l’intervista al Principe del curling a quei Giochi, lo skip del Team Canada 2006 Medaglia d’oro Brad Gushue.

3 Brad GushueGrazie Brad per aver accettato questa intervista che vuole rievocare i 10 anni di Torino 2006. Sappiamo bene quanto tu sia impegnato in questo momento nel preparare il prossimo Brier e quanto sforzo sia necessario per poterti ricandidare come Team Canada alle prossime Olimpiadi del 2018.

 

Brad, iniziamo l’intervista con un tuffo nel passato. Torniamo quindi insieme a te indietro nel tempo e più precisamente a quel 11 dicembre 2005 ad Halifax. Finale dei Trials canadesi contro Jeff Stoughton. Il vincitore avrebbe rappresentato il Canada ai XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006. Ricordi il tuo stato d’animo prima della finale? Qualche ora prima della partita, quando interrogato sulle vostre probabilità di vittoria finale, Stoughton rispose “nessuna possibilità”. Questa affermazione ti agitò o sei riuscito a restare concentrato, calmo e indifferente.
Eravamo decisamente agitati prima di quella partita, come per qualunque altra partita importante. Faticammo a dormire e faticammo a mangiare, ma questo non fu troppo legato alle affermazioni di Stoughton. Sapevamo che poteva trattarsi di un’opportunità unica nella vita e non volevamo sprecarla.

Nella vostra squadra c’era un giocatore di grande esperienza: Russ Howard. La sua presenza fu utile nella gestione della concentrazione prima di quelle partite così importanti?
Sì, lo fu. Era un giocatore molto più esperto rispetto al resto del gruppo, con numerose esperienze maturate nei Campionati canadesi e Mondiali. Aveva già vissuto situazioni simili e il poter contar su di lui, che appariva molto più rilassato rispetto a noi, fu un grosso aiuto.

Subito dopo la vittoria contro Stoughton ricordasti al pubblico che tua madre Maureen era lì con te, ad Halifax. Quali memorie hai del Natale del 2005?  Sei riuscito a goderti quei giorni festosi oppure la tua mente era già proiettata ai Giochi Olimpici?
Ce li godemmo, assolutamente. Ovviamente stavamo ancora festeggiando la nostra vittoria e la possibilità di disputare i Giochi Olimpici, ma ci stavamo anche preparando per il grande appuntamento. Bisognava organizzare molte questioni logistiche, dal viaggio delle nostre famiglie all’assicurarci che fossimo pronti. Direi che ci furono parecchie distrazioni ma, nonostante tutto, quel Natale fu molto piacevole.

Siamo adesso al febbraio del 2006: si trattò della tua prima volta in Italia? Cosa sapevi a proposito dell’Italia e di Torino?
Fu la mia prima volta in Italia, così come per gli altri componenti della squadra. Prima di partire avevamo condotto alcune ricerche e pertanto sapevamo che Torino era la città della FIAT e che ospitava un paio di importanti squadre di Calcio. Questo era più o meno tutto ciò che sapevamo! Volevamo arrivare con gli occhi ben aperti e imparare il più possibile, godendoci il Paese e la città. Così fu. Purtroppo non riuscimmo a visitare Torino tanto quanto avremmo voluto perché  il nostro evento si disputò a Pinerolo, la quale si rivelò essere a sua volta una bellissima cittadina. Lì trovammo alcuni ristoranti e locali che ci trattarono molto bene e  si presero cura di noi. Ho bellissime memorie dell’Italia.

Durante il Torneo Olimpico il vostro percorso nel round robin non fu semplice. Nella Sessione 3 la prima sconfitta contro la Svezia mentre nella Sessione 9, che divenne indimenticabile per noi, la sconfitta inaspettata contro l’Italia di Joel Retornaz. Per gli italiani quella vittoria fu un momento di immensa gloria, tanto che l’intero ambiente sportivo ne scrisse e ne parlò sui giornali e in TV. Ricordi come hai vissuto quella sconfitta?
Naturalmente fu molto deludente per noi. Ma non perchè avessimo perso contro l’Italia, quanto perché con quella sconfitta ci mettemmo in una pessima situazione dal punto di vista della classifica. A quel punto fummo costretti a vincere gli ultimi due incontri solo per passare ai play-off. Probabilmente si trattò del peggior momento del Torneo per noi. Non stavamo giocando bene, eravamo in difficoltà e sembrava che, potenzialmente, non saremmo nemmeno riusciti a qualificarci per i play-off. Fortunatamente, dopo quella partita riuscimmo a rimetterci in sesto e iniziammo a migliorare il nostro gioco, giungemmo ai play-off e alla fine vincemmo il Torneo Olimpico. Direi che la svolta avvenne proprio dopo quella partita.

Siamo felici di non aver compromesso il vostro percorso verso la finale. Si dice che è sempre importante imparare anche dalle proprie sconfitte. Da quale partita di Torino 2006 ritieni di aver imparato di più?
Ritengo sia stata proprio la partita contro l’Italia. In occasione della prima sconfitta contro la Svezia, avevo in realtà avuto un possibile tiro per vincere la partita, ma il sasso prese dello sporco proprio mentre stava entrando nella casa. Per questo motivo non fu troppo deludente, fummo solo un po’ sfortunati. Poi, mi pare nel turno precedente a quello contro l’Italia, perdemmo ancora contro la Finlandia. Loro stavano giocando veramente bene, quindi ci convincemmo del fatto che non si trattasse di un grosso problema. Nella partita contro l’Italia, invece, faticammo moltissimo. Non giocammo come una vera squadra, la comunicazione fu inefficace e non applicammo svariate tecniche che ci avevano invece resi vincenti ad Halifax. Dopo quella sconfitta facemmo una buona riunione di squadra e riuscimmo a organizzare una proficua sessione di allenamento nel palazzetto che ci permise di sistemare alcuni problemi. Da quel momento in poi tornammo a giocare col nostro vero potenziale. Ritornammo ad essere la squadra che aveva vinto i Trials.

Dopo la vittoria Olimpica, chi ha ricevuto la tua prima telefonata in Canada?
Fu mia madre. Purtroppo ebbe alcuni problemi di salute poco prima dei Trials, così i medici le impedirono di partire per l’Italia. Fui abbastanza dispiaciuto per la sua assenza e decisi che lei sarebbe stata la prima persona con cui avrei parlato. Sapevo che avrebbe guardato la finale in TV e che fosse innervosita dal fatto che non potesse essere presente insieme a mio padre e alla mia fidanzata. In quel modo tentai di renderla il più partecipe possibile.

1 Gushue

Nella tua città, il giorno della finale, le scuole furono chiuse in anticipo per consentire agli studenti di vedere la partita dal vivo. Sapevate di questa iniziativa prima di partire per Torino? Qualcuno vi avvertì a Pinerolo?
Sì, in realtà si trattò di tutta la nostra Provincia – Terranova e Labrador – non solo delle nostre città! Ne eravamo consapevoli in quanto la notizia fu pubblicata online da uno dei giornali che leggevo. Il giorno prima della finale, quando sono stato libero da impegni sportivi, ci recammo all’internet cafè del Villaggio Olimpico, scoprendo così che le scuole sarebbero rimaste chiuse per mezza giornata. La notizia ci rese decisamente più ansiosi, sapendo che avremmo avuto addosso gli occhi dell’intera Provincia. A quanto pare quel giorno in Terranova fu straordinario.

Ricordo che, durante alcune partite, facesti dei gesti per indicare che il pubblico era troppo rumoroso in occasione di momenti cruciali di gioco. Ritieni ancora che il pubblico debba comportarsi in maniera più rispettosa, oppure che siano i giocatori a doversi adattare sebbene il frastuono rischi di minare la concentrazione, così come avviene in molti altri sport?
Sinceramente ritengo che siano i giocatori a doversi adattare. Avendo vissuto le ultime edizioni dei Giochi Olimpici come spettatore trovo che il tifo sia spettacolare. Ai tempi ero più impulsivo e immaturo e mi aspettavo che il pubblico si comportasse come in Canada, circostanza francamente improbabile. Il mio atteggiamento non fu molto appropriato. Ora il mio approccio è assai diverso e, se dovessi tornare a disputare i Giochi Olimpici, spererei di trovare un pubblico rumoroso perché ritengo che renda l’ambiente molto più entusiasmante e che diventi anche assai più divertente da guardare.

Tornato a casa, come hai vissuto in quanto “Campione Olimpico”? Dopo i Giochi hai sovente cambiato compagni di squadra. La nostra sensazione è che sia molto impegnativo giocare quando si è un Campione in quanto si è costantemente in dovere di dimostrare di essere i migliori. Concordi?
Sì, è stato molto impegnativo. Rientrati a casa si manifestarono seri problemi motivazionali tra i membri della nostra squadra. Raggiunto l’apice è talvolta difficile continuare a dedicare le stesse energie e la stessa mole di lavoro che ti ci hanno fatto arrivare. Tutto d’un tratto il livello di gioco inizia a risentirne e i risultati peggiorano. Noi attraversammo quella fase in maniera molto evidente, il che ci portò ad effettuare alcuni cambiamenti all’interno del team, faticando tuttavia a trovare quattro persone che fossero disposte a dedicare la quantità di duro lavoro che era stata necessaria per raggiungere Torino 2006. Ci vuole del tempo e sono convinto che la mia squadra attuale sia di quello stampo, cosa che invece non posso dire delle squadre che ho avuto nei primi anni successivi alle Olimpiadi. Molto semplicemente il lavoro e la dedizione non erano all’altezza di quanto fatto nel cammino verso i Giochi del 2006

La tua esperienza di gioco con Russ Howard terminò poco dopo i Giochi Olimpici e, pochi anni dopo, hai vissuto  una nuova esperienza con un altro grande veterano: Randy Ferbey. Puoi raccontarci le differenze e le similitudini tra queste due esperienze?
Furono piuttosto differenti, ad essere sincero. Con Russ sentivo che, a differenza sua, noi “giovani” non avessimo molta esperienza, motivo per cui ritenevo fosse importante inserirlo in squadra. Passando a Randy, che aveva altrettanta, se non ancor più esperienza rispetto a Russ soprattutto a livello internazionale, sentivo invece che la nostra maturità era ormai maggiore e che pertanto non avessimo bisogno di un’altra guida. Entrambe le esperienze furono positive e da entrambi imparammo molto. Furono differenti principalmente in virtù del livello in cui ci trovavamo in quanto giocatori.

A partire da questa stagione, col riconoscimento quale disciplina Olimpica, molti giocatori canadesi di alto livello stanno provando il Doppio Misto. In effetti ho letto il tuo nome affiancato a quello di Val Sweeting nella Classifica di qualificazione alle finali canadesi. Suppongo tu abbia avuto occasione di provarlo. In tal caso, trovi sia molto diverso dal curling tradizionale?
Sì, trovo sia estremamente diverso! Mi sono divertito la settimana in cui l’abbiamo giocato. Dovrei applicarmi di più dal momento che ci sono alcune nuove regole alle quali dobbiamo abituarci, così come la differente strategia. Essendo la prima volta che lo sperimentavamo abbiamo commesso alcuni errori che, ripensandoci successivamente, ci siamo detti “se avessimo giocato alla maniera tradizionale non avremmo commesso questo errore!” Non sono sicuro di quanto tempo riusciremo a dedicargli nei prossimi anni, tuttavia credo che, andando avanti con la mia carriera sportiva, quella variante potrebbe assumere un’importanza maggiore. Ho due figlie e mi piacerebbe giocare abbastanza a lungo da poter competere ad alti livelli con loro nel Doppio. Inoltre credo sia molto positivo avere una seconda disciplina del Curling ai Giochi Olimpici.

 In questi giorni  c’è , nel mondo del Curling: un tema molto sentito; quello delle scope. Che si tratti di Hardline, tessuto unidirezionale o teste in crine, tu sei tra i giocatori più attivi sul tema tramite analisi e prove video. Curling Canada ha varato una serie di nuove regole per il Tim Hortons Brier e lo Scotties Tournament of Hearts: sei soddisfatto di queste regole oppure ti aspetteresti maggior chiarezza, magari con un regolamento universalmente applicato direttamente dalla WCF?
Personalmente mi ritengo soddisfatto delle modifiche al regolamento adottate per il Brier. Mi aspetterei che la WCF seguisse l’esempio con regole simili perché sono convinto che siano utili al miglioramento del gioco e per l’integrità delle partite. Credo anche sia importante, a Stagione terminata, che giocatori, produttori e governi sportivi come WCF, Curling Canada e alcuni altri possano  sedersi ad un tavolo e approvino una regola unica relativa all’azione di scopa, o meglio ancora una serie di regole. Tali regole, ad oggi, sono troppo ampie e hanno consentito alle squadre di approfittarne in maniera eccessiva. All’inizio della stagione, quando riuscimmo a mettere in pratica i principi del “directional sweeping”, riuscimmo ad avere un grosso vantaggio e, dal momento che non esistevano regolamenti specifici in merito, non stavamo barando. Inoltre nessuno sapeva cosa fosse il “directional sweeping” finchè non se n’è fatta grande mostra all’inizio dell’anno nuovo. Molti giocatori rimasero spiazzati ma adesso ne sono tutti coscienti e ritengo che si debba necessariamente regolamentare la questione per limitarne gli effetti, se non annullarli del tutto. Non sono sicuro di quale sarà l’indirizzo da seguire, comunque questi sono i motivi per cui ritengo sia necessario che quel gruppo di lavoro decida quale strada intraprendere.

Un’ultima domanda. Hai già deciso cosa succederà se non doveste riuscire a diventare Team Canada per i Giochi Olimpici del 2018? Sai dirci se ti ritirerai dal Curling competitivo, se continuerai a giocare, oppure se lascerai la decisione finale a dopo i Trials del 2017?
Sì, credo che la decisione verrà presa solo a quel punto. Al momento non ho alcuna intenzione di ritirarmi, a grandi linee direi che sia più plausibile un ritiro dopo i Giochi del 2022. In questo momento sento di star giocando il miglior curling della mia vita, pertanto credo di avere ancora molti anni davanti a me. Ma ovviamente il quadro è più ampio di questo: devi avere il supporto da parte della famiglia, del posto di lavoro e della carriera, inoltre è necessario che tutto questo sia presente anche per tutti i compagni di squadra. I fattori in gioco sono talmente numerosi che è pressochè impossibile guardare oltre al 2017. Se non dovessimo vincere i Trials del 2017, probabilmente la decisione finale sul 2022 non arriverà prima del 2018-2019. La maggior parte delle squadre ragiona di quadriennio in quadriennio, valutando quale sia la posizione di ciascun componente nel percorso della propria vita.

Grazie Brad per questa intervista e tantissimi auguri per questi  10 anni di Torino 2006.

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