CURLING ITALIA
 

Brad Gushue intervistato in esclusiva per Curling Italia

Andiamo a chiudere questa serie di interviste ai grandi personaggi che hanno fatto brillare le Olimpiadi di Torino 2006 e per farlo non poteva mancare l’intervista al Principe del curling a quei Giochi, lo skip del Team Canada 2006 Medaglia d’oro Brad Gushue.

3 Brad GushueGrazie Brad per aver accettato questa intervista che vuole rievocare i 10 anni di Torino 2006. Sappiamo bene quanto tu sia impegnato in questo momento nel preparare il prossimo Brier e quanto sforzo sia necessario per poterti ricandidare come Team Canada alle prossime Olimpiadi del 2018.

 

Brad, iniziamo l’intervista con un tuffo nel passato. Torniamo quindi insieme a te indietro nel tempo e più precisamente a quel 11 dicembre 2005 ad Halifax. Finale dei Trials canadesi contro Jeff Stoughton. Il vincitore avrebbe rappresentato il Canada ai XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006. Ricordi il tuo stato d’animo prima della finale? Qualche ora prima della partita, quando interrogato sulle vostre probabilità di vittoria finale, Stoughton rispose “nessuna possibilità”. Questa affermazione ti agitò o sei riuscito a restare concentrato, calmo e indifferente.
Eravamo decisamente agitati prima di quella partita, come per qualunque altra partita importante. Faticammo a dormire e faticammo a mangiare, ma questo non fu troppo legato alle affermazioni di Stoughton. Sapevamo che poteva trattarsi di un’opportunità unica nella vita e non volevamo sprecarla.

Nella vostra squadra c’era un giocatore di grande esperienza: Russ Howard. La sua presenza fu utile nella gestione della concentrazione prima di quelle partite così importanti?
Sì, lo fu. Era un giocatore molto più esperto rispetto al resto del gruppo, con numerose esperienze maturate nei Campionati canadesi e Mondiali. Aveva già vissuto situazioni simili e il poter contar su di lui, che appariva molto più rilassato rispetto a noi, fu un grosso aiuto.

Subito dopo la vittoria contro Stoughton ricordasti al pubblico che tua madre Maureen era lì con te, ad Halifax. Quali memorie hai del Natale del 2005?  Sei riuscito a goderti quei giorni festosi oppure la tua mente era già proiettata ai Giochi Olimpici?
Ce li godemmo, assolutamente. Ovviamente stavamo ancora festeggiando la nostra vittoria e la possibilità di disputare i Giochi Olimpici, ma ci stavamo anche preparando per il grande appuntamento. Bisognava organizzare molte questioni logistiche, dal viaggio delle nostre famiglie all’assicurarci che fossimo pronti. Direi che ci furono parecchie distrazioni ma, nonostante tutto, quel Natale fu molto piacevole.

Siamo adesso al febbraio del 2006: si trattò della tua prima volta in Italia? Cosa sapevi a proposito dell’Italia e di Torino?
Fu la mia prima volta in Italia, così come per gli altri componenti della squadra. Prima di partire avevamo condotto alcune ricerche e pertanto sapevamo che Torino era la città della FIAT e che ospitava un paio di importanti squadre di Calcio. Questo era più o meno tutto ciò che sapevamo! Volevamo arrivare con gli occhi ben aperti e imparare il più possibile, godendoci il Paese e la città. Così fu. Purtroppo non riuscimmo a visitare Torino tanto quanto avremmo voluto perché  il nostro evento si disputò a Pinerolo, la quale si rivelò essere a sua volta una bellissima cittadina. Lì trovammo alcuni ristoranti e locali che ci trattarono molto bene e  si presero cura di noi. Ho bellissime memorie dell’Italia.

Durante il Torneo Olimpico il vostro percorso nel round robin non fu semplice. Nella Sessione 3 la prima sconfitta contro la Svezia mentre nella Sessione 9, che divenne indimenticabile per noi, la sconfitta inaspettata contro l’Italia di Joel Retornaz. Per gli italiani quella vittoria fu un momento di immensa gloria, tanto che l’intero ambiente sportivo ne scrisse e ne parlò sui giornali e in TV. Ricordi come hai vissuto quella sconfitta?
Naturalmente fu molto deludente per noi. Ma non perchè avessimo perso contro l’Italia, quanto perché con quella sconfitta ci mettemmo in una pessima situazione dal punto di vista della classifica. A quel punto fummo costretti a vincere gli ultimi due incontri solo per passare ai play-off. Probabilmente si trattò del peggior momento del Torneo per noi. Non stavamo giocando bene, eravamo in difficoltà e sembrava che, potenzialmente, non saremmo nemmeno riusciti a qualificarci per i play-off. Fortunatamente, dopo quella partita riuscimmo a rimetterci in sesto e iniziammo a migliorare il nostro gioco, giungemmo ai play-off e alla fine vincemmo il Torneo Olimpico. Direi che la svolta avvenne proprio dopo quella partita.

Siamo felici di non aver compromesso il vostro percorso verso la finale. Si dice che è sempre importante imparare anche dalle proprie sconfitte. Da quale partita di Torino 2006 ritieni di aver imparato di più?
Ritengo sia stata proprio la partita contro l’Italia. In occasione della prima sconfitta contro la Svezia, avevo in realtà avuto un possibile tiro per vincere la partita, ma il sasso prese dello sporco proprio mentre stava entrando nella casa. Per questo motivo non fu troppo deludente, fummo solo un po’ sfortunati. Poi, mi pare nel turno precedente a quello contro l’Italia, perdemmo ancora contro la Finlandia. Loro stavano giocando veramente bene, quindi ci convincemmo del fatto che non si trattasse di un grosso problema. Nella partita contro l’Italia, invece, faticammo moltissimo. Non giocammo come una vera squadra, la comunicazione fu inefficace e non applicammo svariate tecniche che ci avevano invece resi vincenti ad Halifax. Dopo quella sconfitta facemmo una buona riunione di squadra e riuscimmo a organizzare una proficua sessione di allenamento nel palazzetto che ci permise di sistemare alcuni problemi. Da quel momento in poi tornammo a giocare col nostro vero potenziale. Ritornammo ad essere la squadra che aveva vinto i Trials.

Dopo la vittoria Olimpica, chi ha ricevuto la tua prima telefonata in Canada?
Fu mia madre. Purtroppo ebbe alcuni problemi di salute poco prima dei Trials, così i medici le impedirono di partire per l’Italia. Fui abbastanza dispiaciuto per la sua assenza e decisi che lei sarebbe stata la prima persona con cui avrei parlato. Sapevo che avrebbe guardato la finale in TV e che fosse innervosita dal fatto che non potesse essere presente insieme a mio padre e alla mia fidanzata. In quel modo tentai di renderla il più partecipe possibile.

1 Gushue

Nella tua città, il giorno della finale, le scuole furono chiuse in anticipo per consentire agli studenti di vedere la partita dal vivo. Sapevate di questa iniziativa prima di partire per Torino? Qualcuno vi avvertì a Pinerolo?
Sì, in realtà si trattò di tutta la nostra Provincia – Terranova e Labrador – non solo delle nostre città! Ne eravamo consapevoli in quanto la notizia fu pubblicata online da uno dei giornali che leggevo. Il giorno prima della finale, quando sono stato libero da impegni sportivi, ci recammo all’internet cafè del Villaggio Olimpico, scoprendo così che le scuole sarebbero rimaste chiuse per mezza giornata. La notizia ci rese decisamente più ansiosi, sapendo che avremmo avuto addosso gli occhi dell’intera Provincia. A quanto pare quel giorno in Terranova fu straordinario.

Ricordo che, durante alcune partite, facesti dei gesti per indicare che il pubblico era troppo rumoroso in occasione di momenti cruciali di gioco. Ritieni ancora che il pubblico debba comportarsi in maniera più rispettosa, oppure che siano i giocatori a doversi adattare sebbene il frastuono rischi di minare la concentrazione, così come avviene in molti altri sport?
Sinceramente ritengo che siano i giocatori a doversi adattare. Avendo vissuto le ultime edizioni dei Giochi Olimpici come spettatore trovo che il tifo sia spettacolare. Ai tempi ero più impulsivo e immaturo e mi aspettavo che il pubblico si comportasse come in Canada, circostanza francamente improbabile. Il mio atteggiamento non fu molto appropriato. Ora il mio approccio è assai diverso e, se dovessi tornare a disputare i Giochi Olimpici, spererei di trovare un pubblico rumoroso perché ritengo che renda l’ambiente molto più entusiasmante e che diventi anche assai più divertente da guardare.

Tornato a casa, come hai vissuto in quanto “Campione Olimpico”? Dopo i Giochi hai sovente cambiato compagni di squadra. La nostra sensazione è che sia molto impegnativo giocare quando si è un Campione in quanto si è costantemente in dovere di dimostrare di essere i migliori. Concordi?
Sì, è stato molto impegnativo. Rientrati a casa si manifestarono seri problemi motivazionali tra i membri della nostra squadra. Raggiunto l’apice è talvolta difficile continuare a dedicare le stesse energie e la stessa mole di lavoro che ti ci hanno fatto arrivare. Tutto d’un tratto il livello di gioco inizia a risentirne e i risultati peggiorano. Noi attraversammo quella fase in maniera molto evidente, il che ci portò ad effettuare alcuni cambiamenti all’interno del team, faticando tuttavia a trovare quattro persone che fossero disposte a dedicare la quantità di duro lavoro che era stata necessaria per raggiungere Torino 2006. Ci vuole del tempo e sono convinto che la mia squadra attuale sia di quello stampo, cosa che invece non posso dire delle squadre che ho avuto nei primi anni successivi alle Olimpiadi. Molto semplicemente il lavoro e la dedizione non erano all’altezza di quanto fatto nel cammino verso i Giochi del 2006

La tua esperienza di gioco con Russ Howard terminò poco dopo i Giochi Olimpici e, pochi anni dopo, hai vissuto  una nuova esperienza con un altro grande veterano: Randy Ferbey. Puoi raccontarci le differenze e le similitudini tra queste due esperienze?
Furono piuttosto differenti, ad essere sincero. Con Russ sentivo che, a differenza sua, noi “giovani” non avessimo molta esperienza, motivo per cui ritenevo fosse importante inserirlo in squadra. Passando a Randy, che aveva altrettanta, se non ancor più esperienza rispetto a Russ soprattutto a livello internazionale, sentivo invece che la nostra maturità era ormai maggiore e che pertanto non avessimo bisogno di un’altra guida. Entrambe le esperienze furono positive e da entrambi imparammo molto. Furono differenti principalmente in virtù del livello in cui ci trovavamo in quanto giocatori.

A partire da questa stagione, col riconoscimento quale disciplina Olimpica, molti giocatori canadesi di alto livello stanno provando il Doppio Misto. In effetti ho letto il tuo nome affiancato a quello di Val Sweeting nella Classifica di qualificazione alle finali canadesi. Suppongo tu abbia avuto occasione di provarlo. In tal caso, trovi sia molto diverso dal curling tradizionale?
Sì, trovo sia estremamente diverso! Mi sono divertito la settimana in cui l’abbiamo giocato. Dovrei applicarmi di più dal momento che ci sono alcune nuove regole alle quali dobbiamo abituarci, così come la differente strategia. Essendo la prima volta che lo sperimentavamo abbiamo commesso alcuni errori che, ripensandoci successivamente, ci siamo detti “se avessimo giocato alla maniera tradizionale non avremmo commesso questo errore!” Non sono sicuro di quanto tempo riusciremo a dedicargli nei prossimi anni, tuttavia credo che, andando avanti con la mia carriera sportiva, quella variante potrebbe assumere un’importanza maggiore. Ho due figlie e mi piacerebbe giocare abbastanza a lungo da poter competere ad alti livelli con loro nel Doppio. Inoltre credo sia molto positivo avere una seconda disciplina del Curling ai Giochi Olimpici.

 In questi giorni  c’è , nel mondo del Curling: un tema molto sentito; quello delle scope. Che si tratti di Hardline, tessuto unidirezionale o teste in crine, tu sei tra i giocatori più attivi sul tema tramite analisi e prove video. Curling Canada ha varato una serie di nuove regole per il Tim Hortons Brier e lo Scotties Tournament of Hearts: sei soddisfatto di queste regole oppure ti aspetteresti maggior chiarezza, magari con un regolamento universalmente applicato direttamente dalla WCF?
Personalmente mi ritengo soddisfatto delle modifiche al regolamento adottate per il Brier. Mi aspetterei che la WCF seguisse l’esempio con regole simili perché sono convinto che siano utili al miglioramento del gioco e per l’integrità delle partite. Credo anche sia importante, a Stagione terminata, che giocatori, produttori e governi sportivi come WCF, Curling Canada e alcuni altri possano  sedersi ad un tavolo e approvino una regola unica relativa all’azione di scopa, o meglio ancora una serie di regole. Tali regole, ad oggi, sono troppo ampie e hanno consentito alle squadre di approfittarne in maniera eccessiva. All’inizio della stagione, quando riuscimmo a mettere in pratica i principi del “directional sweeping”, riuscimmo ad avere un grosso vantaggio e, dal momento che non esistevano regolamenti specifici in merito, non stavamo barando. Inoltre nessuno sapeva cosa fosse il “directional sweeping” finchè non se n’è fatta grande mostra all’inizio dell’anno nuovo. Molti giocatori rimasero spiazzati ma adesso ne sono tutti coscienti e ritengo che si debba necessariamente regolamentare la questione per limitarne gli effetti, se non annullarli del tutto. Non sono sicuro di quale sarà l’indirizzo da seguire, comunque questi sono i motivi per cui ritengo sia necessario che quel gruppo di lavoro decida quale strada intraprendere.

Un’ultima domanda. Hai già deciso cosa succederà se non doveste riuscire a diventare Team Canada per i Giochi Olimpici del 2018? Sai dirci se ti ritirerai dal Curling competitivo, se continuerai a giocare, oppure se lascerai la decisione finale a dopo i Trials del 2017?
Sì, credo che la decisione verrà presa solo a quel punto. Al momento non ho alcuna intenzione di ritirarmi, a grandi linee direi che sia più plausibile un ritiro dopo i Giochi del 2022. In questo momento sento di star giocando il miglior curling della mia vita, pertanto credo di avere ancora molti anni davanti a me. Ma ovviamente il quadro è più ampio di questo: devi avere il supporto da parte della famiglia, del posto di lavoro e della carriera, inoltre è necessario che tutto questo sia presente anche per tutti i compagni di squadra. I fattori in gioco sono talmente numerosi che è pressochè impossibile guardare oltre al 2017. Se non dovessimo vincere i Trials del 2017, probabilmente la decisione finale sul 2022 non arriverà prima del 2018-2019. La maggior parte delle squadre ragiona di quadriennio in quadriennio, valutando quale sia la posizione di ciascun componente nel percorso della propria vita.

Grazie Brad per questa intervista e tantissimi auguri per questi  10 anni di Torino 2006.

2 Gushue

Intervista Anette Norberg

Grazie Anette per aver accettato questa intervista in occasione del 10º anniversario di Torino 2006.

3 Norberg

Capisco che sono passati tanti anni: che ricordo hai di Anette prima del 2006?  Come immaginavi il tuo futuro?
Ho sempre sentito che ero brava a giocare a curling e alla fine avrei ottenuto un grande successo. Agli inizi di carriera ho anche perso molte gare ma ho imparato molto anche dalle sconfitte, in questo modo si migliora.

E’ incredibile quanti risultati hai raggiunto nella tua straordinaria carriera  e proprio nell’anno che ha preceduto Torino 2006 a Paisley avevi vinto il Mondiale. E’ stato più emozionante vincere il Mondiale 2005  o l’Olimpiade 2006?
Nel biennio 2005-2006 siamo state le migliori, con cinque campionati consecutivi. Le vittorie olimpiche battono qualsiasi altra vittoria. Nessuna al confronto può dare le stesse soddisfazioni.

Che ricordi hai di quell’olimpiade 2006? Tu e la squadra avevate come unico obiettivo la medaglia d’oro?
Il nostro obiettivo era solo la medaglia d’oro.  Quello di vincere a Torino e le nostre prime Olimpiadi sono state una grandiosa esperienza.

In finale hai incontrato la Svizzera di Mirjam Ott. Prima della finale hai  pensato al tuo avversario? Cerchi di ricordare le sue abitudini di strategia  oppure  prepari  la tua gara, la tua preparazione fisica e psicologica e poi sul ghiaccio si vedrà cosa succede?
Noi avevamo le nostre procedure di riscaldamento prima della partita. Io mi chiudo in una bolla e mi isolo per concentrarmi. Non focalizzavamo tutte le attenzioni su chi incontravamo e non pensavamo alle loro abitudini di gioco e tantomeno ai risultati ottenuti dai nostri avversari. Questo atteggiamento ha sicuramente aiutato le nostre prestazioni sia nelle Olimpiadi del 2006 che in quelle del 2010.

Nell’altra finale Olimpica a Vancouver 2010 hai incontrato Cheryl Bernard. Ricordi in quale tra le tue finali  2006 (Ott) 2010 (Bernard) hai sofferto di più per conquistare la vittoria?
Emotivamente sicuramente è stata più sentita per noi la finale del 2006. Contro  il Canada di Cheryl Bernard nel 2010 abbiamo di certo espresso una migliore prestazione.

Quel bacio con Eva Lund, al termine della finale di Vancouver, lo avevate concordato prima e volevate mandare un messaggio al mondo?
No è stato un gesto spontaneo, non avevamo concordato nulla. Il bacio non era previsto.

Con il 2006 sei stata qui in Piemonte. So che per la  SVT sei anche stata in Sicilia per Eternal Glory. Hai viaggiato spesso in Italia? Quali città hai avuto modo di visitare?
Ho viaggiato molto, ma ho visto per lo più curling center. 
L’Italia, tuttavia, è il mio Paese preferito. Ho in progetto di trasferirmi in Italia quando andrò in pensione.

Poi il 24 maggio 2010 avete comunicato ufficialmente che il Team oro olimpico si scioglieva ma tu  non eri ancora pronta e sentivi di poter ancora vincere…
Giocare il Campionato del Mondo con un nuovo team è stato fantastico, ma dopo il Mondiale vinto nel 2011 non è stato possibile continuare.

Poi sono arrivate per te prove ben più importanti di vita. Ricordo che nel 2004 a vincere il Mondiale era stata Colleen Jones. Proprio di recente ho letto un suo libro dove racconta la sua vita nel curling e fuori dal curling. Leggendolo ho scoperto una Colleen vera che ha saputo raccontare molto bene le sue emozioni non solo dei  momenti belli ma anche dei suoi momenti difficili. Tu hai mai pensato oppure ti è stato proposto di scrivere un libro?
Sì mi hanno chiesto di scrivere un libro ma non ne ho ancora avuto il tempo.

Come sei riuscita  in carriera a far  conciliare 3 realtà importanti come 
curling – famiglia – lavoro?
Non nascondo che in carriera ho avuto anche momenti difficili con un divorzio e i miei bambini ancora piccoli. Il rendimento nel curling in quei momenti era sicuramente scarso. Comunque è bene gestire al meglio le priorità e i molti sacrifici e organizzarsi in modo che tutto ciò che si vuole fare si possa fare!

Abbiamo seguito la tua sicuramente bellissima esperienza di “ballando” e poi sei stata chiamata per altri impegni con la televisione (tralasciando le cronache olimpiche di curling). Nel tuo futuro vedi e speri ancora in molti altri impegni televisivi?
Sarei felice di tornare di nuovo in TV se si tratta di programmi di livello e divertenti.

Grazie Anette da parte di tutti gli appassionati di curling in Italia. Grazie  da curlingitalia.it  e tanti auguri per questo decimo anniversario della  medaglia d’oro di Torino 2006.

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I ricordi di Torino 2006 di Chris Daw

2 oro ChrisBuongiorno Chris Daw, grazie per la tua disponibilità nel concederci questa  intervista. Il nostro sito web, Curling Italia, vuol ricordare le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Torino 2006 con delle interviste ai protagonisti di quei giochi e tu sei stato uno degli attori più importanti, con la vittoria canadese nel wheelchair curling.

 

Per noi torinesi le Olimpiadi e le Paralimpiadi del 2006 sono state un evento indimenticabile e ci hanno dato emozioni più forti di ogni nostra immaginazione: è stato così anche per voi atleti?
Torino stava cambiando la vita per molte persone, compresi gli atleti. Per me è stato sia la fine che l’inizio di un viaggio ma in quel momento non lo sapevo. Per il Canada, e gli atleti canadesi, è stata  l’occasione per costruire il progetto di Vancouver 2010. Per  alcuni come me è stato il finale di  un qualcosa avviato circa 22 anni fa  I giochi, le persone, le strutture e il paese sono ricordi importanti  che mi porterò dentro per tutta la vita.

Proprio a Torino, il wheelchair curling è diventato disciplina Paralimpica: cosa hai provato ad essere il primo vincitore della medaglia Paralimpica della storia in questa disciplina?
E’ stato un onore incredibile!  Essere il primo in qualsiasi sport significa essere il punto di riferimento ed essere il primo nella storia del curling è fantastico da ricordare!

Il vostro obiettivo era la medaglia d’oro? Oppure, almeno prima di iniziare l’avventura di Torino 2006, puntavate al podio e tutto quello che sarebbe arrivato in più, sarebbe stato un “di più”?
Ogni squadra punta a  vincere l’oro, ogni squadra. Per il Canada  nella disciplina del curling una medaglia, compresa la possibilità dell’oro, è un’aspettativa. Stessa cosa per l’hockey e quando si tratta di curling forse anche in misura maggiore. Ma pochi sanno che eravamo al 4º posto nel ranking prima di  andare ai giochi.

waveCom’è nato il Team Daw per Torino 2006 e come si è preparato per l’evento?
La mia squadra è stata selezionata tra i migliori team canadesi di wheelchair curling. Ma ti racconto come è andata: il team Daw fino a quel momento era stato insieme “ufficialmente” sono per circa 9 mesi prima dei Giochi. Abbiamo avuto una serie di raduni prima dei Giochi per circa un anno e la squadra è stata scelta con quegli atleti  con piccoli input da parte dei giocatori stessi. Lo staff tecnico e il personale della Curling Canada selezionarono la squadra sulla base della ipotesi migliore di successo. Poi insieme abbiamo fatto un sacco di stage di allenamento e anche vinto un campionato nazionale prima di partire verso l’ignoto di Torino 2006!

Nel round robin avete perso due partite, per il resto il percorso è stato pressoché perfetto: qual è stata la partita più difficile? E quale la più bella da giocare? E qual è stata la partita vinta che vi ha fatto capire di poter conquistare la medaglia d’oro?
Il round robin per noi è stato un po’ al di sotto del nostro standard. Il nostro obiettivo era semplice. Arrivare al page dei play off. Da lì è stato un nuovo torneo, dove non potevamo subire più sconfitte. La partita più difficile nel round robin per noi è stata  la nostra sconfitta contro gli Stati Uniti. Grande rispetto per tutte le altre Nazionali, beninteso, ma contro gli Stati Unti è la battaglia del Nord America e stava avvenendo in quel momento. Ma più di qualsiasi altra cosa abbiamo temuto la nostra insicurezza; il dubbio stava arrivando in ognuno di noi in quella partita. Era la nostra seconda sconfitta e questo ha fatto emergere tutte le nostre preoccupazioni. Dopo quella partita in squadra ne abbiamo parlato molto  e ci sono state discussioni dove la squadra si è unita e abbiamo ritrovato fiducia in noi stessi. La partita più divertente che abbiamo giocato è stata  contro la Norvegia, in semifinale. Questa vittoria  ci fece capire che avremmo potuto vincere l’oro. Quella partita più di tutte ci rese una squadra!  Ancor più che la finale per la medaglia d’oro. Tutto funzionò e ogni colpo riuscì. Capimmo che i miracoli possono accadere. L’ultimo colpo che feci in quella partita è stato un colpo impossibile. Nessuno lo aveva mai provato prima ma è riuscito. La Norvegia perse e noi vincemmo la semifinale. I miei compagni di squadra erano entusiasti di andare a giocarsi la medaglia d’oro, ma per me è stato diverso. Pensavo che sarei tornato a casa con una medaglia. Ci ero andato così vicino nel 2000 con il rugby in carrozzina ma persi quella di bronzo; questa volta ero emozionato, non solo per l’occasione di vincere l’oro, ma per il fatto di avere la certezza di tornare a casa con una medaglia . All’epoca e in quel frangente di che metallo si trattasse non importava.

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Dal punto di vista organizzativo, come giudichi le Paralimpiadi di Torino 2006? Le strutture erano facilmente accessibili per disabili? Avete riscontrato qualche difficoltà?
Tutto bene sotto ogni aspetto. Avevamo sentito parlare di problemi di trasporto nei  giochi olimpici e qualche altra notizia qua e là, ma soprattutto non ho mai avuto problemi ai giochi non uno. Mi ricordo le battute sui problemi e una volta mi è stato anche chiesto se è per questo che masticavo il mio stick durante la partita. Le strutture del villaggio, il trasporto e il luogo eccellenti!  Mi piacerebbe tornare un giorno e vedere come sono stati gestiti  gli impianti.

Qual è il ricordo più bello che hai dell’esperienza a Torino 2006? Non necessariamente un ricordo legato alla competizione sportiva.
Dopo i giochi e intendo nei giorni successivi, ho soggiornato a Torino per una visita della città con il mio amico di lunga data Trevor. Stavamo passeggiando per le strade ed abbiamo visto una chiesa. Poco dopo abbiamo saputo che era il Duomo di Torino. Era chiuso però  un prete corse fuori e mi chiese se io ero lo skip del Canada. Disse che mi aveva visto in tv giocare a curling. Ci portò dentro, dove ci fece fare un tour privato del Duomo e incontrammo il cardinale dell’epoca che mi diede una benedizione privata. Non lo dimenticherò mai.

Quali ricordi hai del vostro ritorno a casa con la medaglia d’oro al collo?
Ricordare quei tempi è un po’ commovente per me. I miei ricordi sono molto pacati. Vedi, non abbiamo mai avuto modo di celebrare la vittoria della medaglia ai giochi. Subito dopo abbiamo fatto tutti i test antidoping e le cose non sono andate bene. Di conseguenza  la squadra non ha mai celebrato. E fino ad oggi non lo abbiamo mai fatto. Tornai a casa atteso solo da una piccola folla di amici e familiari. Niente stampa e tantomeno la TV, Niente del genere. Pochi momenti privati con la mia mamma e il mio papà. Non sapevo che la mia mamma sarebbe mancata pochi anni più tardi. I ricordi più belli sono proprio per Lei  in aeroporto. Il suo sorriso, la sua felicità sono i ricordi più belli che ho. Le cose allora erano molto diverse rispetto ad ora. Tornavo a casa dopo un matrimonio  finito (che avevo nascosto  a tanti miei conoscenti  per più di un anno). Ero senza lavoro perché  lo avevo lasciato per  andare a giocare le paralimpiadi e non avevo prospettive almeno a lungo termine. Sono tornato a casa più sconosciuto a me stesso di quando ero partito.

Tu hai partecipato ad un numero elevatissimo di mondiali e Paralimpiadi, in varie discipline: le Paralimpiadi si affrontano con uno spirito diverso rispetto ai campionati mondiali? Oppure una volta che si gareggia, non c’è differenza tra una competizione e l’altra?
Questa è la domanda più semplice di tutte. Le Paralimpiadi sono una cosa completamente diversa e non si possono paragonare ad un campionato del mondo.  Una volta mi hanno detto “si può vincere un milione di campionati del mondo e si è grandi, ma se vincerai una sola Olimpiade o Paralimpiade sarai ricordato per sempre ed essendo la prima medaglia d’oro in un nuovo sport paralimpico, chi si dimenticherà mai questa cosa.

Dopo le Paralimpiadi di Torino 2006, tu e il tuo team avete proseguito l’attività agonistica nel wheelchair curling?
Dopo i giochi nel 2006, la squadra rimase insieme ancora per un anno. Siamo andati ai Mondiali dell’anno successivo ma non abbiamo fatto così bene: quarto posto in Svezia. Dopo, per una serie di ragioni diverse e una tonnellata di storie diverse, la squadra si sciolse e non ha mai più giocato e addirittura non è mai salita sul ghiaccio di nuovo insieme.

Da Torino 2006 a Vancouver 2010 c’è stato un grande cambiamento nel wheelchair curling: si è passati dalle gare a 6 ends a quelle a 8 ends. Tu giudichi positivamente questa modifica? Ritieni sia una giusta equiparazione verso il curling per normodotati? La scorsa stagione è arrivato il thinking time e ai mondiali gruppo B di quest’anno ho visto alcune squadre usare un extender con uno stick particolare. Ritieni utili tutte queste modifiche? Sono una logica evoluzione dello sport oppure pensi che snaturino lo sport? Tu apporteresti altre modifiche al regolamento wheelchair curling?
La risposta a questo quesito è facile e difficile allo stesso tempo. Ogni sport dovrebbe evolvere e rimanere al top. Il curling in carrozzina non è diverso. L’estensione a 8 end consente una bella partita, si ha tempo per recuperare: ad esempio se una squadra ha uno o due cattivi end.  Le gare a 6 end non hanno mai permesso di recuperare. Il thinking time è stato necessario in quanto la strategia del gioco e le abilità dei giocatori si sono evoluti. L’evoluzione del bastone era in arrivo e io sono contento che ci sia. Abbiamo percorso una lunga strada fin dai primi campionati del mondo dove si lanciava il sasso con la mani, chini sulla sedia a rotelle appesi per la vita. Per quanto riguarda lo sport stesso, abbiamo visto  un aumento dei Paesi in cui si gioca a curling, ma c’è ancora un numero limitato di giocatori. Anche in Canada si sono problemi infatti il ​​numero di giocatori è meno della metà rispetto a dieci anni fa. Per quanto riguarda le altre norme, me ne vengono in mente due. Mi piacerebbe vedere spazzare in una qualche forma nel curling in carrozzina. Forse dalla back line alla  tee. Mi piacerebbe anche vedere l’inserimento  del curling in carrozzina in altri eventi di curling importanti come la Continental Cup che si è appena tenuta a Las Vegas. Un evento dove il wheelchair curling potrebbe essere presentato direttamente al fianco del curling per normodotati o eventualmente anche a margine della competizione.

Se non ricordo male, purtroppo a Vancouver 2010 ci furono dei casi di doping proprio nel wheelchair: lo svedese Glen Ikonen risultò positivo e successivamente anche Jim Armstrong venne sanzionato per doping. Cosa ne pensi? In uno sport come il wheelchair curling il doping può davvero aiutare un atleta? Oppure sono solo gesti sconsiderati da parte di qualche atleta che non ha fiducia nelle proprie capacità? Dall’alto della tua grande esperienza di atleta, pensi che il doping sia un problema da non sottovalutare anche nel wheelchair curling?
Scusami ma vorrei astenermi dal rispondere a questa domanda in segno di rispetto per un certo numero atleti  coinvolti in questo tipo di problema. Ho la mia opinione in merito ma preferisco mantenerla personale.

Adesso di cosa ti occupi? Essere un grande campione dello sport come te è di aiuto in società nella riuscita professionale?
A partire dai giochi ho avuto un certo numero di impegni di lavoro diversi e ho anche combattuto il cancro vincendo questa battaglia. Ora, sono un allenatore a chiamata e sono impegnato in una  piccola impresa che si occupa di analisi video e dirette streaming di eventi sportivi. Io sono sempre disponibile per allenare a chiamata squadre di atleti disabili e normodotati. Ho lavorato per diversi Paesi, tra cui Canada, Stati Uniti, Corea e persino Australia. Se avete bisogno di un allenatore o qualcuno che si occupi di una serie di discipline sportive diverse, chiamatemi o andate sul sito highperformancesystems.
Sono tornato allo sport per vocazione. Lo sport mi ha dato gli strumenti di cui avevo bisogno per avere successo tra cui la regola più importante “non lasciate mai che la vostra passione misuri la vostra pazienza”.

Il curling è uno degli sport di più successo in Canada e immagino che la medaglia d’oro alle Paralimpiadi ti abbia reso ancora ancora più famoso, di quanto non lo fossi già. Posso permettermi di chiederti se sei hai avuto un qualche ritorno economico oppure anche in Canada, come in Italia, nonostante la medaglia paralimpica, non si può vivere di curling?
Ritorno economico, hmmm… No! Non ho mai avuto alcun dollaro o appoggi dal mio successo nel 2006. Il fatto è che mi sono ritirato per diventare un allenatore così potrei contribuire per  cambiare anche proprio questo aspetto per gli atleti del futuro. Non abbiamo mai avuto nessun riconoscimento da nessuno per quello che abbiamo fatto a Torino. Non succede quello che accade alle squadre di normodotati. Nulla…
Il vostro rievocare Torino 2006 è molto bello e ho molto apprezzato le vostre gentili domande.

Grazie  Chris Draw. Bellissimi i tuoi ricordi e  tanti auguri per questi 10 anni di Torino 2006.

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Intervista a Egidio Marchese

1 marcheseGrazie Egidio per aver accettato, con questa intervista, di voler rievocare le Paralimpiadi di Torino 2006.

 

 

 

A Torino 2006 il wheelchair curling divenne disciplina paralimpica. E’ stata un’emozione particolare partecipare alle Paralimpiadi per la prima volta nella storia del wheelchair curling?
Il wheelchair  a Torino 2006 è stato fortemente voluto dalla Federazione Mondiale Curling. I primi contatti sono iniziati fin dal 1999 per mettere insieme  una squadra di persone con disabilità motorie che rappresentasse l’Italia all’evento Paralimpico. Cosi già nel 2000 io e Andrea Tabanelli, accompagnati da Mauro Maino (lui già giocava a curling), siamo andati in Svizzera a Sursee su richiesta di Franco Zumofen, allora responsabile del settore Curling della FISG, per partecipare ai primi Mondiali sperimentali di wheelchair curling. Pensa che la composizione della Nazionale Italiana era Andrea e il sottoscritto, una signora svizzera e un altro signore svizzero che ci faceva da skip. A quei tempi si lanciava lo stone con le mani per cui si faceva tanta fatica in più per arrivare dall’altra parte del campo.
Da quel punto di inizio, sempre sostenuti dall’allora Vice Presidente ed attuale Presidente della WCF Kate Caithness, questa disciplina e veramente esplosa. Se pensate che nel 2000 eravamo in otto paesi a partecipare al campionato del mondo mentre adesso nel 2016 c’è un campionato del mondo di A e uno di B. Una delle regola fortemente voluta da Kate è quella di inserire nel regolamento mondiale che almeno una persona del sesso opposto deve essere presente in campo.
Emozioni… non credo di riuscire a descriverne quante e di che  tipo. A Torino, in occasione delle paralimpiadi, sono state tantissime ed indimenticabili. Entrare sul ghiaccio e lo stadio esplodeva di gioia per la Nazionale Italiana, queste cose non si possono dimenticare mai. Fino a qualche mese prima mai avrei pensato di poter partecipare ad un evento sportivo di questa caratura, si “un sogno in una favola fantastica”.

Credo sia importante, rievocando quell’evento, non fermarsi ai soli aspetti esaltanti, ma era ed è giusto ancora oggi evidenziare anche le criticità. Dico questo perché nelle Olimpiadi di Vancouver è noto che avete trovato delle situazioni non certo ben studiate per i disabili. Mi riferisco agli spazi d’accesso delle porte o anche al semplice specchio del bagno posizionato troppo alto per voi. Possono sembrare in qualche circostanza delle banalità, ma in una organizzazione paralimpica, mi permetto di dire imperdonabili. A Torino 2006 in questo senso si era prestata attenzione e tutto era a posto?
A Torino 2006 sia come strutture sportive che come Villaggio Olimpico i parametri di accessibilità erano eccellenti, se proprio devo fare delle critiche è che alcuni maniglioni erano stati fissati su pareti di cartongesso per cui non molto sicuri.
Invece sia i servizi igienici che gli ascensori erano ben fruibili direi ottimamente.
Al contrario si è  vero che a Vancouver 2010  abbiamo avuto problemi di accessibilità nella nostra palazzina.

Negli anni che hanno preceduto le paralimpiadi 2006 quale era la situazione del wheelchair in Italia?
Come ho anticipato prima, di curling in carrozzina credo che in Italia, prima di Torino 2006, nessuno mai ne avesse sentito parlare. La Nazionale di Torino era formata da 4 valdostani: Andrea Tabanelli (skip), Egidio Marchese (third e vice skip), Pierino Gaspard (second), Rita Dal Monte (lead) ed il piemontese di  Volvera Emanuele Spelorzi (alternate). Poi dopo, con un programma di promozione del CIP, siamo riusciti a coinvolgere un centinaio di atleti nel nord Italia disputando un campionato italiano di categoria (nel resto d’Italia è più complicato per l’assenza di strutture sportive).

Ma veniamo alle paralimpiadi di Torino, quelle di “casa”: a distanza di dieci anni, in quale momento hai sentito maggiormente l’emozione di vivere quell’esperienza?
Credo che il sogno di ogni persona che pratica sport sia raggiungere l’apice per cui partecipare ad una Olimpiade o Paralimpiade che sia. Forse 10 anni fa non realizzavo quello che sento oggi. Credo che ognuno di noi, in un cambiamento metamorfico del fisico che ti inchioda su una sedia a rotelle, può pensare di vivere delle emozioni sportive e questo fa veramente capire quanto sia bella la vita.

2 team marchese

Sulle gare disputate, in quale confronto pensi di aver perso ma poteva andare diversamente? Forse il confronto contro la Danimarca (4-5)?
A Torino credo che la gara più bella sia stata esserci. Con le altre nazionali c’era solo un divario culturale del curling. In effetti le cose sono cambiate quattro anni dopo dove siamo riusciti a dimostrare il nostro vero valore.

Il divario con le altre Nazionali era troppo difficile da compensare in quel momento?
Sì. Nazionali come la Svizzera di allora, Canada, Scozia, Norvegia e Usa in confronto a noi erano dei professionisti. Era evidente sia a livello di strategia che tecnico erano decisamente più preparati.

La domanda vuole ricordare il vostro salto di qualità, confrontando i risultati di Torino con Vancouver. Quel 0-14 subito a Torino contro la Svizzera, a Vancouver si è trasformato in un netto 13-4 per voi. Stessa cosa nel confronto con la Gran Bretagna. Nei quattro anni tra Torino e Vancouver cosa era cambiato: preparazione, convincimento psicologico, crescita del movimento in Italia?
Abbiamo dedicato veramente tanto tempo e denaro ognuno di noi, tecnici compresi, e questo ha permesso all’Italia di partecipare per meriti sportivi a Vancouver 2010. Fondamentale e stata la selezione dei migliori atleti, credo che sia stata la scelta azzeccata per arrivare al miglior risultato olimpico del curling italiano. Un quinto posto, anche se con un briciolo di fortuna in più  avremmo potuto giocarci un posto per la medaglia. Convincimento forse si ma partita dopo partita il nostro gioco migliorava le altre squadre iniziavano a temerci. Il coach canadese dichiarò in una intervista di non volere incontrare l’Italia nella fase finale perché era l’unica squadra che temeva.

Qual è il ricordo più bello per te che hai vissuto in questa paralimpiade 2006?
Solo essere stato protagonista e già motivo di grande soddisfazioni. Poi la gente a Torino e stata fantastica, i volontari che ci coccolavano in tutto e per tutto. La gente in città che ci vedevano come loro idoli e poi salire sul palco per il concerto di Antonello Venditti e raccontare la tua esperienza in Piazza Castello a 70.000 persone. In quella occasione  siamo partiti in un percorso da Piazza San Carlo per arrivare nella Piazza Castello tra un fiume di gente che ci applaudiva. Semplicemente fantastico. Ma anche la partenza dal Villaggio Olimpico per andare a giocare a Pinerolo con i pullman e la scorta della Polizia, pranzare con il presidente della Repubblica.

Qual è stato il rapporto con i media durante le paralimpiadi di Torino? Avete avuto, a tuo parere, la giusta visibilità? Cosa manca ancora allo sport per diversamente abili per avere la giusta considerazione dai media?
A mio parere a Torino non è stata data la giusta importanza a livello mediatico. Poca pubblicità e poche immagini in televisione. La gente deve abituarsi a vedere i giochi Paralimpici e non deve guardarli con l’occhio del pietismo ma con attenzione critica verso il gesto atletico tecnico.
Altro scenario a Vancouver dove Sky ha scommesso proprio sul wheelchair curling che ha raggiunto degli ascolti importanti. Per ringraziarci al nostro ritorno siamo stati festeggiati nella sede Sky di Milano.

Ricordiamo le paralimpiadi di Torino 2006, ma facciamo un salto in avanti di 4 anni e arriviamo a Vancouver 2010: non possiamo non sottolineare che quella del wheelchair è stata l’unica squadra italiana di curling che può lodarsi di essere andata a Vancouver 2010 non più perché Paese organizzatore, ma per meritata qualificazione. Come vedi in prospettiva il futuro paralimpico e internazionale in genere per il wheelchair italiano?
Il movimento internazionale è cresciuto moltissimo. Alcune nazionali ormai sono dei professionisti dove giocano a curling quasi tutto l’anno e si vede che ormai anche ai mondiali B ci sono sempre più squadre molto competitive.
E’ indiscutibile che lo sport per disabili in questi anni ha conquistato molta considerazione dalle istituzioni.

Secondo te è stato il grande merito del vostro vertice dirigenziale come CIP o è una considerazione che si è sviluppata grazie ad una maggiore cultura sociale?
Grandi meriti vanno a Luca Pancalli e tutto il suo Staff per il grande lavoro istituzionale fatto. E’ cambiata proprio la cultura delle discipline sportive, il CIP centrale ed i comitati regionali sono sempre in prima linea nella promozione dello sport per le persone con disabilità.

Con l’accorpamento in FISG delle attività per disabili, le cose per voi sono migliorate o c’è ancora molto da lavorare?
Abbiamo fatto un salto nel vuoto, purtroppo le nostre preoccupazioni manifestate al momento dell’accorpamento si sono concretizzate, i risultati lo dimostrano.

Tu sei anche una persona con una lunga esperienza dirigenziale come Presidente della DISVAL. Immagini anche un futuro coinvolgimento attivo in Fisg, con l’obiettivo di migliorare la condizione non solo del wheelchair curling ma anche del curling per normodotati? Ma la domanda può essere anche più diretta: pensi ad un futuro come responsabile di settore?
Al momento mi diverto tantissimo a giocare e non penso ad altro.

Quali sono i prossimi appuntamenti importanti a breve e a medio termine per il tuo Team Disval?
Le tappe di ritorno a Courmayeur a marzo, con l’obbiettivo di qualificazione per la fase finale del campionato e magari vincere il Terzo scudetto consecutivo.

Grazie per la tua disponibilità e auguri per questi 10 anni delle Paralimpiadi 2006.

Intervista a Diana Gaspari

Grazie Diana per aver accettato questa intervista e quindi di voler partecipare con noi alla rievocazione dei 10 anni di Torino 2006. 
Per i più giovani è indispensabile fare una premessa importante. Nella tua carriera come skip della Nazionale Italiana femminile le tue presenze sono state 268 con 197 nella categoria assoluta. A quale età hai iniziato a giocare e come è stato il tuo primo approccio con il curling?
Ho iniziato a giocare a curling nel 1996 a 12 anni. Una mia compagna di classe giocava e mi ha chiesto di andare a provare. Sono andata allo stadio e non ho più smesso. All’epoca giocavamo nella pista da hockey e bisognava prepararsi il campo ogni sera attaccando le staffe e portando anche le stones in campo. Per il primo anno sono stata un disastro… non prendevo nemmeno il rettangolo di gioco.

L’albo Nazionale evidenzia come tra le atlete che hanno ricoperto il ruolo di skip con molte presenze internazionali come Maria Grazia Lacedelli e Ann Urquhart ci sia, prima del tuo coinvolgimento in Nazionale, qualche anno di distanza. Quello che ti vorrei chiedere è se nei tuoi inizi queste atlete hanno avuto modo di dare un contributo alla tua crescita agonistica oppure erano ormai lontane dal curling?
Maria Grazia e Ann le conosco bene e abbiamo anche giocato qualche torneo contro e insieme, ma parlo ormai di una decina di anni fa. Quando ho iniziato loro giocavano ancora, ma il curling nel frattempo era molto cambiato, ad esempio loro giocavano senza free guard zone e le scope avevano poca influenza. Ma sicuramente hanno coinvolto noi tutte con i racconti appassionanti delle loro competizioni.

Andando a rileggere gli albi d’oro delle competizioni internazionali è evidente come già con la Nazionale Junior hai ottenuto dei podi ancora oggi storici: mi riferisco al 2001 Mondiali di Tarnby e nel 2003 a Flims. Che ricordi hai di quelle esperienze con la Junior e di quelle medaglie? Sei più legata affettivamente ai ricordi da junior o nella categoria assoluta?
Sono due cose abbastanza diverse, non posso scegliere tra le due.  A livello junior l’entusiasmo è sempre alle stelle e sono le prime vittorie della carriera, quindi si ricordano come emozioni (positive e negative) che ti fanno esplodere il cuore. In più a livello junior eravamo una squadra nata insieme e che è arrivata insieme a vincere una medaglia di bronzo, quindi il coinvolgimento e le emozioni erano molto forti.  Nei mondiali assoluti invece le sensazioni maturano, sono sempre molto forti, ma la tensione prende un po’ il posto dell’entusiasmo sfrenato. Ci si allena tantissimo e si arriva alla competizione con molte aspettative, quindi anche il peso delle sconfitte aumenta pensando insieme ai sacrifici fatti. La squadra anche è stata diversa, sono entrata giovane in un team che aveva già avuto parecchia esperienza internazionale, di conseguenza anche le emozioni venivano vissute in modo diverso a seconda delle esperienze e delle diverse età. Ad ogni modo per ogni squadra che ho avuto ho ricordi e legami molto forti che mi hanno accompagnata durante gli anni più belli della mia carriera nel curling.  Da sola non avrei mai vissuto esperienze così belle.

2 Diana

Quando hai iniziato a giocare, l’idea di una candidatura italiana per l’organizzazione delle olimpiadi invernali, non  si poteva neanche immaginare. Aver disputato una olimpiade è un valore aggiunto a tutti i tuoi anni di impegno? Sono state un’emozione particolare?
Le olimpiadi sono state l’emozione più grande della mia carriera. Il villaggio olimpico, il senso di appartenenza ad una squadra più grande, che era l’Italia, la cerimonia d’apertura e poi soprattutto la sensazione di giocare in casa con un pubblico che viene a vedere solo te, sono tutte cose che creano emozioni indescrivibili e che poi non ho più ritrovato in altre competizioni, purtroppo.

Premesso che c’è chi, se avesse disputato le olimpiadi, girerebbe ancora oggi con l’accredito al collo, ma tu non sei quel tipo di persona, voglio chiederti: con chi non ti conosce, ti capita e ti fa piacere raccontare di questa tua esperienza olimpica?
Le olimpiadi per me sono stata un emozione contrastante, a livello di esperienza è stata l’emozione più grande e coinvolgente della mia carriera e invece a livello di gioco purtroppo il torneo non è andato come sperato ed è stata una delusione sportiva. Quindi racconto volentieri una parte e una parte no… Diciamo che non tiro fuori io l’argomento, ma se mi chiedono racconto molto volentieri!

E’ fuori discussione che gli esperti alle Olimpiadi ritenessero la Nazionale femminile azzurra più preparata rispetto alla maschile, con un gruppo decisamente consolidato. Ricordi di aver subito l’emozione in quei giorni olimpici o tutto è andato semplicemente come doveva andare?
Le prime partite non sono andare come volevamo e purtroppo poi l’aspettativa e la tensione sono cresciute e ci hanno sopraffatto. Secondo me se vincevamo qualche partita in più all’inizio, il nostro umore ed autostima sarebbero cresciuti di conseguenza e il torneo poteva andare meglio. Ma nessuno può saperlo.
Nel gioco del curling c’è molto da imparare anche nelle sconfitte.

Ricordi un particolare incontro dove hai appreso qualche cosa di più che in altre partite?
Ricordo forse di più le sconfitte a livello junior, dove si sbagliavano i tiri per la forte emozione. Mi ricordo che non ci siamo qualificate per quello che avrebbe dovuto essere il nostro primo mondiale junior per un mio punto lungo a casa libera. Fu una disperazione, giorni e giorni di lacrime! Pian piano con queste “mazzate” morali si impara a controllare le emozioni e la pressione. Poi avanzando con l’esperienza, con le sconfitte si imparano un po’ di più i metodi di gestione psicologica della squadra oppure delle sottigliezze tattiche, ma non mi sono più rimasti impressi momenti particolari.

Qual è stata la tua emozione più forte di quei giorni olimpici?
Senza dubbio la cerimonia di apertura. E’ stata un’emozione talmente forte che mi sembra di essere stata in una lavatrice. Non capivo bene dove mi trovavo e cosa stavamo facendo, una volta entrate correvamo e urlavamo dall’emozione. Abbiamo fatto la sfilata, ci siamo posizionati in centro allo stadio e poi molte cose sono accadute attorno a noi senza capire bene cosa. Ho dovuto riguardami bene la cerimonia una volta tornata a casa.

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E’, purtroppo, indubbio che nello sport i media tendono ad esaltare sempre maggiormente le prestazioni maschili rispetto a quelle femminili. Avete comunque dei ricordi di questa improvvisa popolarità con richieste di interviste, autografi o anche il solo essere riconosciute per la strada in quei giorni olimpici ?
Abbiamo dei ricordi incredibili in questo senso. In quella settimana il curling inspiegabilmente aveva spopolato e la gente ci riconosceva per strada. Vedevamo i più timidi indicarci e dire sottovoce “sono quelle del curling” oppure “sono quelle con le scopette”, i più coraggiosi venivano a chiederci foto ed autografi. Alcuni ci dicevano “Che bello il curling! Dove lo posso praticare quando le olimpiadi finiscono? dove posso guardare delle partite di curling?”.  Ma l’episodio più bello è stato un giorno che siamo andate in piazza Solferino e proiettavano sul grande schermo una nostra partita. C’era della gente che guardava e ci siamo messe anche noi a guardare, poi pian pianino la gente si è accorta che chi era sullo schermo era anche accanto a loro e sono venuti tutti da noi per fare foto ed autografi. Ho una bellissima foto di me nella piazza dello Sponsor Village e sullo sfondo, nello schermo gigante, ancora io in gara!

Rispetto ad un Europeo o Mondiale, il clima e l’ambiente in una Olimpiade è tutta un’altra storia o si tratta sempre e solo di giocare a curling?
E’ molto diverso. Solitamente in un europeo o mondiale si forma un gruppo tra curlinisti, poi il pubblico è sempre ridotto e se ce n’è sicuramente non è a sostegno della squadra italiana. Alle Olimpiadi si è creato un gruppo “Italia” tra atleti di sport diversi, ci si sosteneva e si faceva il tifo gli uni per gli altri. Una sensazione che si può trovare solo alle Olimpiadi.

Poi nello stesso anno, il 2006, avete disputato a Basilea uno straordinario Europeo, conquistando l’argento nella finale contro la Russia. E’ chiaro che gli esperti avevano visto lungo e la squadra era pronta per ottenere i risultati che contano. Quanto ha influito la partecipazione olimpica su questo argento Europeo?
Dalle olimpiadi all’europeo di Basilea sono cambiati due elementi della squadra. Il cambio di squadra probabilmente ha dato nuova energia ed entusiasmo e in questo modo siamo riuscite a digerire la delusione delle olimpiadi.

ringraziamenti anonimiCome chiedo a tutti in queste interviste, anche da te vorrei sapere quale è stato il ricordo più bello che ti sei portata a casa con Torino 2006?
Franco Zumofen, il nostro responsabile curling di quel periodo, ha trovato sul furgone del curling un biglietto di qualcuno che era venuto a vederci allo stadio ma non aveva voluto avvicinarci per non disturbarci. Il biglietto diceva che gli avevamo dato una forte emozione e aveva scoperto uno sport che ha amato subito, ci ringraziava di esserci e che era triste al pensiero di non poterci più seguire alla fine delle olimpiadi. Quando Franco ce l’ha letto ci ha fatto commuovere tutti. Siamo noi che dovremmo ringraziare il pubblico per darci supporto, non il contrario…

Grazie Diana per la tua disponibilità e tanti auguri per questi 10 anni di Torino 2006.

Intervista a Joel Retornaz

Grazie Joel Retornaz  per aver accettato questa intervista che vuole rievocare i 10 anni dalle Olimpiadi di Torino 2006. Iniziamo con chiederti come ti sei sentito dopo aver ricevuto la comunicazione ufficiale che saresti stato tu lo skip della Nazionale maschile. Ricordi in quei giorni, prima della partenza per Pinerolo, uno stato d’animo ed una emozione particolare?
Lo stato d’animo non era dettato dal fatto che sarei stato lo skip, ma piuttosto dal fatto che di lì a poco avrei preso parte ad un’Olimpiade, una vera Olimpiade! Tante volte si può immaginare o dire “ma si dai mi piacerebbe partecipare ad un’Olimpiade”, ma poi andarci per davvero è tutta un’altra storia. Ed io ero lì pronto per partire alla volta di Torino per poter realizzare quello che per moltissimi atleti anche fortissimi rimane solamente un sogno.

1 retornaz 2006

E’ vero che il clima Olimpico che si instaura tra gli atleti è qualcosa di veramente unico e irripetibile?
Verissimo. Puoi giocare Europei, Mondiali, Tornei importantissimi, ma il clima olimpico è qualcosa di introvabile nelle altre competizioni. Il tempo si ferma, esiste solo lo sport e la felicità di far parte di quell’evento. Nonostante le varie nazionalità, le differenze linguistiche ed i vari livelli degli atleti, alle Olimpiadi non esistono migliori o peggiori. Tutti sullo stesso livello, tutti sullo stesso piano. Ogni atleta, per il semplice fatto di essere un olimpionico merita il rispetto da parte dei sui colleghi e ogni sport è importante quanto gli altri, ogni sport vale una medaglia. Per questo il clima olimpico tra gli atleti è qualcosa di straordinario, qualcosa di indescrivibile. All’interno del villaggio olimpico sembra di vivere in un mondo parallelo.

Nei momenti al villaggio olimpico hai avuto modo di conoscere anche atleti di altre discipline o al contrario ogni team, o ogni atleta di disciplina individuale, rimanevano chiusi nel loro mondo e nel loro sport?
Credo di aver già risposto in parte a questa domanda. All’interno del villaggio olimpico si diventa un’unica grande famiglia. Principalmente con gli atleti della propria nazione, si inizia a conoscersi di più e ci si promette di fare il tifo reciproco, per cui nei momenti di relax per alcuni e momenti di gara importanti per altri, gli atleti nel villaggio stanno tutti davanti alla tv per tifare i propri colleghi/amici. Grande rispetto per tutti e tutte all’interno del villaggio, come detto prima non ci sono distinzioni, dalla giocatrice di hockey femminile che non ha mai giocato una partita da titolare a Evgenij Pljuščenko che si beve un cappuccino vicino a te la mattina a colazione. Questo è il villaggio olimpico.

3 team italia torino 2006Hai un ricordo particolare di un momento dove hai sentito l’emozione più forte di tutti quei giorni di olimpiade?
La cerimonia di apertura è un ricordo indelebile, un po’ perché in quel momento capisci che è tutto reale e che sta veramente accadendo, un po’ perché nel momento in cui entri assieme a tutta la delegazione di quello che è il Paese ospitante e in quel momento senti lo stadio che letteralmente “viene giù” dalle urla e applausi del pubblico presente, beh questo direi che è certamente uno dei momenti più forti ed indimenticabili di tutte le Olimpiadi ed oltre.

 

Parliamo adesso della competizione: si dice che si impara molto anche sui propri errori. Tu ricordi in quale confronto (e forse anche perso) hai imparato di più?
Certo che dagli errori si impara e quindi dalle sconfitte, come del resto si impara molto anche dalle vittorie. Ma non ci si improvvisa campioni dopo una partita persa e non si può credere di migliorare tanto sul momento. Se noi abbiamo imparato qualcosa è stato durante le stagioni di preparazione. Durante la competizione abbiamo dato il massimo, abbiamo perso qualche partita che potevamo vincere e ne abbiamo vinte altre che non ci vedevano certamente favoriti alla vigilia. Credo però che tutto sommato abbiamo raggiunto il risultato nelle nostre potenzialità in quel momento, quindi va bene così. Poi però se consideriamo le lezioni che ho imparato su larga scala e per quello che è stato poi il proseguimento della mia carriera, beh allora in questo caso ho imparato molto.

Poi la vittoria, in un certo senso storica, contro il Canada. Hai provato una gioia particolare in questa vittoria contro i primi della classe oppure l’hai vissuta solo come una partita portata bene a termine?
Sarei ipocrita nel dire che quella è stata una semplice vittoria. Quella è stata LA vittoria. Chiaro che  se mi avessero proposto di perdere contro il Canada nel Round Robin per poi andare a vincere una medaglia, non ci avrei pensato due volte, però a bocce ferme e per quello che è stato il risultato finale, direi che per me  contro il Canada è stato, sportivamente parlando, il momento più alto  di quell’Olimpiade.
Il caso ha inoltre voluto che quella partita venisse disputata di sabato, per cui il palazzetto aveva registrato il tutto esaurito. Parliamo della nona sessione di gioco maschile, quindi la gente aveva già iniziato ad appassionarsi molto di curling in quei giorni di Olimpiade. Lo scenario era il palazzetto di Pinerolo pieno zeppo, Italia che batte il Canada 7-6 all’extra e standing ovation che parte spontanea dagli spalti, abbracci a non finire con i compagni. Direi quindi di sì, quella partita mi ha regalato una gioia particolare.

Ricordo di quei giorni che anche se eliminati nel round robin la gioia di esserci andava oltre e quindi non chiedevate di più. E’ andata così oppure speravate in un piazzamento migliore?
A questa domanda ho risposto tante volte, in tanti mi hanno chiesto, ma come avete fatto a battere il Canada (oro finale) e Stati Uniti (bronzo finale) e poi avete perso contro gli altri? Il curling è così, ogni partita ha una storia a se e la puoi vincere come la puoi perdere. Io dico sempre che probabilmente se mi avessero detto, prima di partire per Torino, che sarebbe andata così, beh ci avrei messo la firma. Poi però quando sei lì e vedi che te la giochi e che avresti potuto ambire anche a qualcosa di più, in quel caso ci speri e vorresti aver fatto qualcosa di meglio. Comunque credo che il risultato sia stato buono dopotutto.

Più volte abbiamo parlato della grande visibilità mediatica. Tu ritieni che per il dopo, e quindi per migliorare il curling italiano, si potesse sfruttare in modo diverso questa ondata di popolarità del curling?
Credo proprio di sì. A mio parere non è stata sfruttata per niente bene l’ondata di popolarità inattesa che il curling ha avuto durante le Olimpiadi di Torino 2006. Si poteva fare molto di più, ma purtroppo questo non è successo e tutt’ora ne paghiamo le conseguenze. Il curling in Italia rimane sempre una piccola realtà troppo poco conosciuta.

Qual è il ricordo più bello che ti sei portato a casa di quei giorni?
Le emozioni provate in quei giorni, beh quelle rimarranno per sempre indelebili. Questo è il ricordo più bello. E ripensando a quel periodo, ripensando a tutto ciò che è successo e rileggendo in questo istante le risposte che ti ho appena dato nell’intervista, con un accenno di sorriso dentro di me posso dire: “Io c’ero!”

E chiudo chiedendoti: per il futuro una partecipazione dell’Italia alle olimpiadi deve passare da una qualificazione. Ritieni che questo sogno si possa ancora realizzare?
Penso proprio di sì. L’Italia avrebbe tutte le possibilità di giocarsi le proprie carte per qualificarsi alle Olimpiadi in futuro. Ci vuole un mix tra supporto da parte delle Federazioni e ambizioni personali degli atleti. Direi che ad oggi questo mix è troppo sbilanciato verso le ambizioni personali degli atleti, che però non sono mai sufficienti a colmare le carenze dall’altra parte.

Grazie Joel per la tua disponibilità e auguri per questi 10 anni di Torino 2006.

2015, Halifax N.S. Ford Men's World Curling Championship, Italy skip Joel Retornaz, Scotland skip Ewen MacDonald, Curling Canada/michael burns photo

Intervista a Lisa Schoeneberg

2 Lisa to 2006Ciao Lisa e grazie per aver accettato questa intervista che vuole ricordare il tuo impegno come competition manager per il curling di Torino 2006.

 

 

 

Sei stata, prima ancora di manager, una skip del team USA di altissimo livello con esperienze anche olimpiche quando il curling era ancora uno sport dimostrativo. E’ stata importante questa tua esperienza come giocatore per poi diventare un manager olimpico?
Sì sono stata  un’atleta dei Giochi Olimpici nel 1988 e nel 1998 ma per lavorare come manager alle Olimpiadi si sa che ci vuole l’aiuto indispensabile di un sacco di persone.

Se ricordo bene sei arrivata a Torino nel 2004. Come ti è sembrata questa città appena sei arrivata?
No sono arrivata prima del 2004 a Torino.
Arrivando in un nuovo paese, e nuova lingua, è stato un po’ difficile all’inizio, ma ho subito fatto nuove amicizie molto utili per me.
Questi amici rimangono per me molto stretti ancora oggi. Purtroppo allora ero impegnata in  un nuovo lavoro e nuova vita ed è stato difficile per me imparare l’italiano e me ne pento.

Nel Palazzo Toroc di via Bologna hai lavorato con 2 assistenti fantastiche vuoi ricordare tu i loro nomi?
Le mie due grandi assistenti Daniela Di Luca e Heli Ihalainen sono due delle donne più incredibili che abbia mai incontrato. Senza il loro aiuto non credo che sarei stata in grado di coprire con successo il ruolo direttore sportivo.
Entrambe parlavano un ottimo inglese ed erano i miei costanti traduttori. E hanno saputo imparare presto anche tutto ciò che riguardava lo sport del curling.
Due donne molto brave!

Il primo impegno importante è sicuramente stato il test event a Pinerolo con il Mondiale Junior del 2005. Quello che hai visto in questo Mondiale Junior ti aveva lasciato tranquilla o hai capito che, prima del 2006, c’era ancora molto da fare?
La prima volta che sono andata nella sede di Pinerolo è stato molto interessante vedere quanto lavoro doveva essere ancora fatto per creare una sede per il curling. Mi ricordo di essere entrata all’interno del vecchio edificio e ho potuto vedere la luna fuori. Mancava ancora una parte di un tetto.
Dopo che la costruzione è stata completata la sede era meravigliosamente trasformata e la struttura di riscaldamento è stata una bella eredità olimpica per Pinerolo.

Ricordando i giorni delle Olimpiadi c’è stato qualcosa che, pensandoci oggi, non è andata come tu volevi?
Durante i Giochi, si vuole fare in modo che tutto sia perfetto, ma so che è impossibile.
Fai del tuo meglio per rendere al meglio l’esperienza per gli atleti, allenatori, funzionari, appassionati e volontari.
Credo che la nostra squadra locale ha fatto un lavoro incredibile.

Qual’è il ricordo più bello che poi ti sei portata a casa di questa esperienza di Torino 2006?
Tornando a casa dopo le Olimpiadi ci vuole tempo per adattarsi di nuovo alla tua vita prima dei Giochi. Ti senti perso perché hai lavorato e vissuto  la tua vita con persone meravigliose e amici che poi non rivedrai. Ora mi mancano tutti da morire e spero un giorno di ritornare nuovamente a visitare Torino e Pinerolo. I Giochi Olimpici sono stati un’esperienza incredibile in un paese sorprendente.

Poi nel 2010 sei stata nuovamente impegnata a dirigere il Mondiale di Cortina. Tutto è stato più semplice dopo l’esperienza di Torino oppure organizzare un Mondiale e tutta un’altra cosa?
A Cortina 2010 per il Campionato del Mondo è stato un evento molto più in piccolo ma ho trovato una buona squadra di persone e volontari  che sanno come organizzare eventi.
Tutta l’esperienza che ho imparato a Torino è stata sicuramente un vantaggio per l’organizzazione del Campionato del Mondo. E’ stata un’altra grande esperienza con grandi persone che mi mancano. Anche a Cortina ho avuto una assistente meravigliosa come  Marta Guzman. Senza il suo aiuto non poteva essere il successo che è stato. Un’altra donna straordinaria che mi manca tantissimo.

Per noi in Italia l’interesse dei media per il curling nel 2006 è stato  incredibile. Ma per WCF i risultati di ascolto televisivi sono stati di grande soddisfazione oppure speravano in qualcosa di più?
Credo che la WCF è stata molto soddisfatta del curling alle Olimpiadi di Torino. 
Abbiamo avuto molti buoni incontri con loro quando ero a Torino/Pinerolo quindi tutto è stato organizzato come volevano.

Grazie Lisa e ancora tanti auguri per questi 10 anni di Torino 2006.
Ci tengo a dire che i giochi olimpici di Torino 2006  sono stati una delle più grandi esperienze della mia vita. Oggi ho il dispiacere di non aver  più rivisto così tante persone. Mi sono trovata benissimo in Italia sia a viverci così come a lavorare. Grazie per l’intervista Renato. Vi auguro tutto il meglio ora e sempre!

1 Lisa

Sponsor Village

3 Sponsor VillageIl calendario 2016 corre ormai verso la fine di febbraio e proprio in questo mese saranno 10 anni esatti che le Olimpiadi di Torino 2006 hanno avuto il loro svolgimento.

 

Il lavoro di preparazione all’evento ha visto una lunghissima gestazione, come è logico che sia, con una promozione iniziata già nel 2004. Nell’inverno del 2004 Torino si avviava a vestire i panni di città olimpica e, prima tra tutte le iniziative, fu l’allestimento in Piazza Solferino di un grande spazio per presentare alla cittadinanza le olimpiadi. Era una struttura che, per la sua forma decisamente atipica, venne battezzata il gianduiotto. Questo spazio espositivo era stato disegnato e progettato dal grande Giorgetto Giugiaro con una struttura in metallo e vetro. Accanto, con forma circolare attorno al monumento equestre dedicato a Ferdinando di Savoia Duca di Genova, la prima pista di pattinaggio. Era questo il modo scelto per avviare la realizzazione di tanti altri allestimenti che gradualmente saturarono tutta l’area di Piazza Solferino.
A noi torinesi del curling di allora venne l’idea di voler partecipare attivamente in questo spazio ma era assolutamente necessario ottenere la realizzazione di una pista dedicata al curling, e sapevamo che non sarebbe stata cosa semplice. Tentare però di portare a casa questo progetto per il curling ci sembrò importante per sperare nel futuro di questa disciplina. L’iniziativa partiva da Gianandrea Gallinatto, in rappresentanza degli Yellowstones, e dal sottoscritto per il club SUM Draghi Curling Club. Premetto che amiamo le avventure impossibili ma non siamo degli sprovveduti. Sapevamo di poter contare su un primo sostegno da parte dell’architetto Paolo Maldotti (grande amico di Gianandrea) che per l’occasione aveva l’incarico di gestire tutti gli allestimenti della piazza. Dopo un primo incontro con l’architetto le nostre speranze trovarono il giusto ottimismo ma ancora non poteva bastare. Il passo seguente consisteva nel riuscire a convincere gli organizzatori dell’evento. Incontrammo così l’assessore di allora, incaricata per il Comune, la dottoressa Anna Martina. All’incontro in Comune di Torino trovammo anche ad ascoltarci il responsabile dell’area Paolo Verri. Scoprimmo in quella circostanza che allo spazio sarebbe stato dato il nome di Sponsor Village 2006. Con Gianandrea eravamo in perfetto accordo nel presentare la nostra idea di curling di piazza come particolarmente innovativa. Puntammo sul portare i nostri importanti interlocutori verso una semplice riflessione. Non era possibile offrire, nei giorni di olimpiade, al visitatore un coinvolgimento olimpico da atleta per quasi tutte le discipline ma con il curling questo era possibile e fattibile. Dare questa emozione con la pratica sportiva, anche solo per un istante imparando il lancio di uno stone, poteva far sì che ti sentissi tu stesso un olimpico. Nei giorni di gare Torino 2006 sarebbe stata di certo una grande emozione. Dalle espressioni di Martina e Verri qualcosa ci disse che avevamo colpito nel segno ma come sempre bisognava attendere per conoscere la loro decisione. La risposta affermativa non si fece attendere oltre misura e per i giorni di gara allo Sponsor Village veniva inaugurata la pista del curling. Dieci anni dopo, ricordando quelle giornate, posso dire senza esitazione che abbiamo vissuto momenti esaltanti e indimenticabili ma anche pesanti per l’impegno e i sacrifici. Tutte le persone che volevano partecipare, gratuitamente, ad un mini corso di circa 30 minuti dovevano necessariamente registrarsi per la prenotazione. Fu un successo senza precedenti che vide iscritte ai corsi circa 1400 persone provenienti da tutte le Regioni e da tutte le Nazioni. Non mancarono anche personaggi famosi come Stefania Belmondo che rimane nei ricordi e nella memoria storica di queste olimpiadi per essere stato l’ultimo tedoforo ad accendere la fiamma olimpica e decretare l’apertura dei giochi. Ma anche atleti del curling di grande valore mondiale come la campionessa canadese Colleen Jones.

1 Sponsor Village - Colleen Jones

Trovammo anche il modo di organizzare delle esibizioni con la partecipazione delle squadre wheelchair della Disval (arrivati dalla Valle D’Aosta) e i torinesi di Sport di Più. Riuscimmo ad organizzare quella che noi chiamammo simpaticamente “la partita della pace” con la squadra dei fratelli Savioz nostri amici arrivati per l’occasione da Sion. Partita della pace perché forse non tutti sanno, o ricordano, che la svizzera Sion era stata la più temibile concorrente di Torino per ottenere dal Comitato Olimpico Internazionale queste Olimpiadi 2006. Ci avevano creduto a tal punto che erano già pronte le loro Pins con la dicitura Sion 2006. In un clima di grande cordialità quella fu quindi l’occasione per avere dagli amici elvetici le loro, ormai inutili, spillette ed in cambio gli vennero donate quelle di Torino 2006. Non possiamo dimenticare che in tanti di Torino collaborarono per questa importante promozione.

2 Sponsor VillageI nostri istruttori erano riconoscibili perché indossavano delle giacche a vento di colore giallo canarino offerte per l’occasione dallo sponsor Napapiri. Sulla pista del curling dello Sponsor Village si sono impegnati a rotazione nelle loro divise gialle Davide Sandri, Silvio Dellaia, Antonio Calandra, Danilo Manolino, Massimo Tortia, Giulio Regli, Gianandrea Gallinatto, Giovanni Marten Perolino, Stefano Castelli, Paolo Fredianelli Fabris, Marica Forreiter, Mauro Ottino, Antonio Peyrano, Diego Bertoletti e il sottoscritto, Renato Negro.
Tanti gli articoli usciti a noi dedicati sui quotidiani nazionali, servizi televisivi delle reti CBS e CNN, collegamenti Rai a Quelli che il calcio e Tg Regionale, Striscia la Notizia con Militello e tanta radio Rai con i conduttori di Caterpillar che di frequente venivano a farci visita in pista.
Infine non posso dimenticare l’importante collaborazione degli amici Mauro e Roberto Maino. Grazie a loro potevamo anche contare su un ghiaccio preparato con l’Ice King che, molto generosamente, avevano portato per l’occasione da Courmayeur.
E speriamo di non aver dimenticato qualcuno perché tutti meritano di essere ricordati. Chi era con noi può dire con giustificato orgoglio: “io sono stato uno dello Sponsor Village 2006”.

Quell’anello al dito dei campioni del mondo

L’anello del Mondiale di curling è sempre stato un oggetto unico, mitico quasi sacro. Pochi al mondo hanno il privilegio di poterlo esibire perché sta a rappresentare che in qualche modo chi lo indossa ha scritto la storia di questo sport. Ma non tutti sanno di questo premio e per potervelo raccontare chi vi scrive ha trovato le sue difficoltà. Non avevo dimenticato di aver visto questo anello al dito del tecnico Dan Rafael e quindi lui poteva essere il mio primo riferimento per addentrarmi in questa ricerca. Dan si è prestato gentilmente raccontandomi quello che sapeva ma consigliandomi di contattare Keith Wendorf che, come rappresentante WCF, poteva darmi maggiori informazioni. Quindi grazie al contributo di Wendorf ho potuto ricostruire la storia dell’anello. La scelta di assegnare anche questo premio ai 5 giocatori + il coach venne presa dallo sponsor Air Canada che dal 1968, con il Mondiale uomini di Pointe Claire (in Québec) garantì la copertura economica alla manifestazione che ovviamente prese il nome di Air Canada Silver Broom. Passarono ancora molti anni però prima che venisse assegnato il primo anello. Presumo con l’edizione del Mondiale uomini a Winnipeg nel 1978. I primi vincitori furono il team degli Stati Uniti con lo skip Bob Nichols. Per le donne l’attesa fu anche più lunga in quanto i primi 3 Mondiali al femminile non furono giocati in Canada (1979-1980-1981) ma a Perth in Scozia. E anche per il 1982 furono assegnati in Svizzera a Ginevra. Per scelta dello sponsor gli anelli erano in premio solo nei Mondiali giocati in Canada. La prima assegnazione dell’anello per il femminile avvenne quindi solo nel 1983 con i Mondiali donne giocati a Moose Jaw (Saskatchewan) e a vincerlo fu una squadra Svizzera di Berna con la skip Erika Muller. Ma purtroppo nel 1985 Air Canada lasciò la sponsorizzazione e l’anello non fu più assegnato. Per ritornare a questa tradizione si dovrà attendere sino al 1995 quando come sponsor arrivò la Ford Company Motor che insieme a WCF decise di ricreare i campioni del mondo con l’anello. Questa del 95 era l’edizione di Brandon (Manitoba) ed i vincitori del mondiale erano di Winnipeg con un team formato da Kerry Burtnyk, Jeff Ryan, Rob Meakin e Keith Fenton. E la storia continua sino alla importante novità del 2009 quando WCF decise di assegnare l’anello anche nei Mondiali giocati fuori dal Canada. Ed è stato proprio in quel Mondiale donne, giocato in Corea, che Dan Rafael, vincendo con la Cina di Wang Bingyu, ottenne il privilegio di indossarlo al dito. Purtroppo la storia dell’anello si è conclusa quest’anno in occasione dell’ultimo Mondiale uomini giocato a Pechino. Sinceramente ho sperato che la WCF avesse un ripensamento in merito ma così non è stato. Sapevo che, con il contributo dello sponsor Edox, la WCF era intenzionata a sostituire l’anello con un orologio ovviamente svizzero di marca Edox. Con la speranza che questa scelta non fosse stata attuata ho sentito Christoffer Svae, giocatore della Norvegia, che purtroppo ha confermato scrivendomi “that’s right, we got watches from Edox”.

Aggiornamento: Eccolo il famoso orologio (qui nella versione da donna).

EDOX vinto al mondiale

Ontario Curling Association contro il resto del Canada

Mentre le medaglie d’oro stanno per salire sull’aereo per tornare a casa il curling in Canada è in fermento. A raccontarla meglio è corretto dire che una situazione difficile è già in atto dal giugno dello scorso anno. Proprio nel giugno 2013 durante l’assemblea nazionale del consiglio di amministrazione CCA (Canadian Curling Association) erano emersi forti incomprensioni tra il direttivo CCA e l’Ontario Curling Association (OCA). Ma subito nulla è trapelato. Anzi in una conferenza stampa il Chef Executive Officer di CCA Greg Stremlaw ha recitato al meglio la sua parte informando la stampa che la riunione era stata, come sempre, utile costruttiva e di alta strategia su piani per un grande sviluppo del curling canadese. Di tutto quello che ha recitato alla stampa l’unica cosa certa era la nomina del nuovo Presidente dei Governatori di dirigenza per il 2013-2014, Hugh Avery di Halifax. Quello che invece è realmente accaduto è poi stato reso noto da una gola profonda presente alla riunione. Si veniva così a sapere che i rappresentanti dell’Ontario (OCA) hanno avuto molte divergenze con il resto della Canadian Association. Per questa ragione OCA era stata dichiarata non in regola per far parte del CCA. Se questo reintegro non dovesse avvenire comporterebbe il mancato finanziamento da parte di CCA ai programmi di sviluppo delle attività nazionali di OCA ma anche ovviamente la non iscrizione di tutte le squadre dell’Ontario ai campionati provinciali e nazionali. Quando si parla del curling in Ontario si parla di una realtà importante dai grandi numeri. I tesserati sono circa 55mila per 200 club e 800 piste per il gioco. Ma in OCA non sono uniti in un fronte unico contro CCA. Proprio in ottobre un gruppo di tesserati ha chiesto una riunione con il Presidente OCA Ian McGillis. Tra le rimostranze portate a questa riunione sicuramente la più forte era quella di dimettere il direttore esecutivo Doug Bakes in carica ormai da 13 anni. Per tutta risposta il presidente OCA in dicembre ha riconfermato Bakes sino al giugno 2014. Poi rimarrà in OCA come consulente sino a fine anno. E così in questi giorni un gruppo spontaneo di tesserati a OCA ha creato una sottoscrizione in Internet per raccogliere le firme che chiedono al Presidente OCA Ian McGillis di cessare le ostilità contro CCA e di procedere al più presto al reintegro di OCA nella Canadian Curling Association. Dal canto suo CCA vuole attendere sino a metà marzo per decidere se rendere ufficiali e definitivi i provvedimenti contro Ontario Curling Association.

Aggiornamento:
Secondo più fonti, il presidente del OCA, Ian McGillis, ha inviato una lettera al CCA la scorsa notte. Una lettera di scuse per le dichiarazioni che lo stesso presidente aveva fatto e ritenute diffamatorie da CCA. Forse la medaglia olimpica che porterà da Sochi la squadra dell’Ontario di Brad Jacobs può aver indotto il Presidente OCA verso più ragionevoli prese di posizione. Una medaglia d’oro cambia tante cose ed eventualmente doversi dimettere con un titolo olimpico nella propria associazione non sarebbe di certo una mossa astuta.
Dal canto suo la risposta della CCA non si è fatta attendere ed è già arrivata sabato. La CCA informa Ian McGillis che la riunione fissata per il giorno 11 marzo, per prendere provvedimenti contro OCA, è stata annullata. Si lavora, si spera, per il chiarimento e per la riconciliazione.

 

CCA

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