CURLING ITALIA

Intervista a Egidio Marchese

1 marcheseGrazie Egidio per aver accettato, con questa intervista, di voler rievocare le Paralimpiadi di Torino 2006.

 

 

 

A Torino 2006 il wheelchair curling divenne disciplina paralimpica. E’ stata un’emozione particolare partecipare alle Paralimpiadi per la prima volta nella storia del wheelchair curling?
Il wheelchair  a Torino 2006 è stato fortemente voluto dalla Federazione Mondiale Curling. I primi contatti sono iniziati fin dal 1999 per mettere insieme  una squadra di persone con disabilità motorie che rappresentasse l’Italia all’evento Paralimpico. Cosi già nel 2000 io e Andrea Tabanelli, accompagnati da Mauro Maino (lui già giocava a curling), siamo andati in Svizzera a Sursee su richiesta di Franco Zumofen, allora responsabile del settore Curling della FISG, per partecipare ai primi Mondiali sperimentali di wheelchair curling. Pensa che la composizione della Nazionale Italiana era Andrea e il sottoscritto, una signora svizzera e un altro signore svizzero che ci faceva da skip. A quei tempi si lanciava lo stone con le mani per cui si faceva tanta fatica in più per arrivare dall’altra parte del campo.
Da quel punto di inizio, sempre sostenuti dall’allora Vice Presidente ed attuale Presidente della WCF Kate Caithness, questa disciplina e veramente esplosa. Se pensate che nel 2000 eravamo in otto paesi a partecipare al campionato del mondo mentre adesso nel 2016 c’è un campionato del mondo di A e uno di B. Una delle regola fortemente voluta da Kate è quella di inserire nel regolamento mondiale che almeno una persona del sesso opposto deve essere presente in campo.
Emozioni… non credo di riuscire a descriverne quante e di che  tipo. A Torino, in occasione delle paralimpiadi, sono state tantissime ed indimenticabili. Entrare sul ghiaccio e lo stadio esplodeva di gioia per la Nazionale Italiana, queste cose non si possono dimenticare mai. Fino a qualche mese prima mai avrei pensato di poter partecipare ad un evento sportivo di questa caratura, si “un sogno in una favola fantastica”.

Credo sia importante, rievocando quell’evento, non fermarsi ai soli aspetti esaltanti, ma era ed è giusto ancora oggi evidenziare anche le criticità. Dico questo perché nelle Olimpiadi di Vancouver è noto che avete trovato delle situazioni non certo ben studiate per i disabili. Mi riferisco agli spazi d’accesso delle porte o anche al semplice specchio del bagno posizionato troppo alto per voi. Possono sembrare in qualche circostanza delle banalità, ma in una organizzazione paralimpica, mi permetto di dire imperdonabili. A Torino 2006 in questo senso si era prestata attenzione e tutto era a posto?
A Torino 2006 sia come strutture sportive che come Villaggio Olimpico i parametri di accessibilità erano eccellenti, se proprio devo fare delle critiche è che alcuni maniglioni erano stati fissati su pareti di cartongesso per cui non molto sicuri.
Invece sia i servizi igienici che gli ascensori erano ben fruibili direi ottimamente.
Al contrario si è  vero che a Vancouver 2010  abbiamo avuto problemi di accessibilità nella nostra palazzina.

Negli anni che hanno preceduto le paralimpiadi 2006 quale era la situazione del wheelchair in Italia?
Come ho anticipato prima, di curling in carrozzina credo che in Italia, prima di Torino 2006, nessuno mai ne avesse sentito parlare. La Nazionale di Torino era formata da 4 valdostani: Andrea Tabanelli (skip), Egidio Marchese (third e vice skip), Pierino Gaspard (second), Rita Dal Monte (lead) ed il piemontese di  Volvera Emanuele Spelorzi (alternate). Poi dopo, con un programma di promozione del CIP, siamo riusciti a coinvolgere un centinaio di atleti nel nord Italia disputando un campionato italiano di categoria (nel resto d’Italia è più complicato per l’assenza di strutture sportive).

Ma veniamo alle paralimpiadi di Torino, quelle di “casa”: a distanza di dieci anni, in quale momento hai sentito maggiormente l’emozione di vivere quell’esperienza?
Credo che il sogno di ogni persona che pratica sport sia raggiungere l’apice per cui partecipare ad una Olimpiade o Paralimpiade che sia. Forse 10 anni fa non realizzavo quello che sento oggi. Credo che ognuno di noi, in un cambiamento metamorfico del fisico che ti inchioda su una sedia a rotelle, può pensare di vivere delle emozioni sportive e questo fa veramente capire quanto sia bella la vita.

2 team marchese

Sulle gare disputate, in quale confronto pensi di aver perso ma poteva andare diversamente? Forse il confronto contro la Danimarca (4-5)?
A Torino credo che la gara più bella sia stata esserci. Con le altre nazionali c’era solo un divario culturale del curling. In effetti le cose sono cambiate quattro anni dopo dove siamo riusciti a dimostrare il nostro vero valore.

Il divario con le altre Nazionali era troppo difficile da compensare in quel momento?
Sì. Nazionali come la Svizzera di allora, Canada, Scozia, Norvegia e Usa in confronto a noi erano dei professionisti. Era evidente sia a livello di strategia che tecnico erano decisamente più preparati.

La domanda vuole ricordare il vostro salto di qualità, confrontando i risultati di Torino con Vancouver. Quel 0-14 subito a Torino contro la Svizzera, a Vancouver si è trasformato in un netto 13-4 per voi. Stessa cosa nel confronto con la Gran Bretagna. Nei quattro anni tra Torino e Vancouver cosa era cambiato: preparazione, convincimento psicologico, crescita del movimento in Italia?
Abbiamo dedicato veramente tanto tempo e denaro ognuno di noi, tecnici compresi, e questo ha permesso all’Italia di partecipare per meriti sportivi a Vancouver 2010. Fondamentale e stata la selezione dei migliori atleti, credo che sia stata la scelta azzeccata per arrivare al miglior risultato olimpico del curling italiano. Un quinto posto, anche se con un briciolo di fortuna in più  avremmo potuto giocarci un posto per la medaglia. Convincimento forse si ma partita dopo partita il nostro gioco migliorava le altre squadre iniziavano a temerci. Il coach canadese dichiarò in una intervista di non volere incontrare l’Italia nella fase finale perché era l’unica squadra che temeva.

Qual è il ricordo più bello per te che hai vissuto in questa paralimpiade 2006?
Solo essere stato protagonista e già motivo di grande soddisfazioni. Poi la gente a Torino e stata fantastica, i volontari che ci coccolavano in tutto e per tutto. La gente in città che ci vedevano come loro idoli e poi salire sul palco per il concerto di Antonello Venditti e raccontare la tua esperienza in Piazza Castello a 70.000 persone. In quella occasione  siamo partiti in un percorso da Piazza San Carlo per arrivare nella Piazza Castello tra un fiume di gente che ci applaudiva. Semplicemente fantastico. Ma anche la partenza dal Villaggio Olimpico per andare a giocare a Pinerolo con i pullman e la scorta della Polizia, pranzare con il presidente della Repubblica.

Qual è stato il rapporto con i media durante le paralimpiadi di Torino? Avete avuto, a tuo parere, la giusta visibilità? Cosa manca ancora allo sport per diversamente abili per avere la giusta considerazione dai media?
A mio parere a Torino non è stata data la giusta importanza a livello mediatico. Poca pubblicità e poche immagini in televisione. La gente deve abituarsi a vedere i giochi Paralimpici e non deve guardarli con l’occhio del pietismo ma con attenzione critica verso il gesto atletico tecnico.
Altro scenario a Vancouver dove Sky ha scommesso proprio sul wheelchair curling che ha raggiunto degli ascolti importanti. Per ringraziarci al nostro ritorno siamo stati festeggiati nella sede Sky di Milano.

Ricordiamo le paralimpiadi di Torino 2006, ma facciamo un salto in avanti di 4 anni e arriviamo a Vancouver 2010: non possiamo non sottolineare che quella del wheelchair è stata l’unica squadra italiana di curling che può lodarsi di essere andata a Vancouver 2010 non più perché Paese organizzatore, ma per meritata qualificazione. Come vedi in prospettiva il futuro paralimpico e internazionale in genere per il wheelchair italiano?
Il movimento internazionale è cresciuto moltissimo. Alcune nazionali ormai sono dei professionisti dove giocano a curling quasi tutto l’anno e si vede che ormai anche ai mondiali B ci sono sempre più squadre molto competitive.
E’ indiscutibile che lo sport per disabili in questi anni ha conquistato molta considerazione dalle istituzioni.

Secondo te è stato il grande merito del vostro vertice dirigenziale come CIP o è una considerazione che si è sviluppata grazie ad una maggiore cultura sociale?
Grandi meriti vanno a Luca Pancalli e tutto il suo Staff per il grande lavoro istituzionale fatto. E’ cambiata proprio la cultura delle discipline sportive, il CIP centrale ed i comitati regionali sono sempre in prima linea nella promozione dello sport per le persone con disabilità.

Con l’accorpamento in FISG delle attività per disabili, le cose per voi sono migliorate o c’è ancora molto da lavorare?
Abbiamo fatto un salto nel vuoto, purtroppo le nostre preoccupazioni manifestate al momento dell’accorpamento si sono concretizzate, i risultati lo dimostrano.

Tu sei anche una persona con una lunga esperienza dirigenziale come Presidente della DISVAL. Immagini anche un futuro coinvolgimento attivo in Fisg, con l’obiettivo di migliorare la condizione non solo del wheelchair curling ma anche del curling per normodotati? Ma la domanda può essere anche più diretta: pensi ad un futuro come responsabile di settore?
Al momento mi diverto tantissimo a giocare e non penso ad altro.

Quali sono i prossimi appuntamenti importanti a breve e a medio termine per il tuo Team Disval?
Le tappe di ritorno a Courmayeur a marzo, con l’obbiettivo di qualificazione per la fase finale del campionato e magari vincere il Terzo scudetto consecutivo.

Grazie per la tua disponibilità e auguri per questi 10 anni delle Paralimpiadi 2006.

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